Ha proprio ragione il dottor Giancarlo Caselli. Se si attuasse la separazione delle carriere tra giudici e rappresentanti dell’accusa, questi ultimi finirebbero con l’acquisire un potere tale da rafforzare quel Partito dei pm “di cui taluno favoleggia”. Potrebbe essere così, in effetti. A meno che. È proprio in “quell’a meno che” che si sviluppano le differenza tra i paesi liberali, in cui l’indipendenza e la terzietà del giudice sono sacre, ma per il rappresentante pubblico dell’accusa non può esserci autonomia senza responsabilità, e i Paesi dove vigono i regimi e le caste senza controllo. Come è purtroppo l’Italia. Scrive parecchio, in questo periodo, il dottor Caselli. Il suo ragionamento, come quello di ieri sul Corriere della sera, fila sempre diritto, con uno schema hegeliano ricco di certezze. Anche quando si esprime sul Fatto, non è mai grillino, piuttosto esprime la cultura tradizionale di quei magistrati italiani che rimpiangono le inchieste segrete del sistema inquisitorio e che hanno mal digerito il nuovo codice di procedura penale di tipo accusatorio. Che è però rimasto incompleto, purtroppo, proprio perché la commissione che l’aveva elaborato non ha potuto o voluto completarlo con la separazione delle carriere e l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Né il Parlamento, nella prima, nella seconda e giammai nella terza repubblica ha osato farlo.

Così, in quell’ “a meno che” dell’ex procuratore Caselli c’è la bestia nera dei magistrati conservatori o reazionari, la famosa dipendenza del pubblico ministero dal ministro di giustizia. Come se fosse uno scandalo il fatto che un governo – è quel che succede nella gran parte dei Paesi occidentali – possa elaborare un programma di politica criminale, con le proprie priorità e i propri metodi di intervento. Ed affidarne ai pm la sua esecuzione. Non è quello che fa per esempio il procuratore nazionale antimafia? Nella stessa sua definizione di “anti” non c’è un suo modo di essere Stato, governo, più che magistrato nell’accezione italiana? Di chi è il compito di lottare contro i crimini, del magistrato o del governo con i suoi apparati di sicurezza? La giurisdizione (juris dicere) è compito del giudice, non dell’avvocato dell’accusa.

Non esiste Paese occidentale in cui il pubblico ministero abbia un potere in cui l’indipendenza prevalga sulla responsabilità come è in Italia. Il pm appartiene allo stesso ordine dei giudici, nessuna istituzione gli può dare istruzioni, il suo status è regolato esclusivamente da quel Consiglio superiore in cui ormai i pm la fanno da padroni, nessun ministro può interferire sulle valutazioni della sua professionalità, che del resto nessuno metterà mai in discussione, visti i ridicoli risultati della commissione disciplinare. A meno che non ci si chiami Luca Palamara e non si sia cascati all’interno di uno scontro politico-giudiziario più grande di lui. E a questo punto, considerando anche gli eventi dell’ultimo anno, non possiamo non citare altre due specialità dell’anomalia italiana: la potenza di un sindacato che ormai fa barba e capelli alla confederazione Cgil-Cisl-Uil, l’Associazione nazionale magistrati, e la visibilità mediatica che, da Di Pietro in avanti, può rendere un semplice sostituto più potente dei suoi stessi capi. Potente e intoccabile.

Giancarlo Caselli, un po’ obtorto collo, conviene sulla separazione delle funzioni, che già esiste, se pure in forma molto limitata in termini logistici e geografici. Ma non riesce a levarsi dalla testa quello che è un po’ il tarlo che avvicina una parte della sinistra al Movimento cinque stelle, quel moralismo che ha sempre tenuto insieme in Italia, le due vere chiese, quella cattolica e la comunista. Se il pm prende ordini dal ministro, è il solito ragionamento, chi potrà più fare le inchieste sulla corruzione? Come se nel Paese non esistessero più la mafia e la ‘ndrangheta, e gli omicidi, gli stupri e le rapine. Come se i ministri guardasigilli (Bonafede, può ringraziare) fossero tutti corrotti o impegnati a proteggere gli amministratori disonesti. Vien da dire: caro dottor Caselli, fosse solo questo il prezzo da pagare per poter vivere in un Paese veramente libero e liberale, chissenefrega dei corrotti!

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.