La maggioranza si ricompone
Governo Meloni, si lavora alle ultime caselle in vista della presentazione della squadra
Oggi il presidente Mattarella conferirà l’incarico a Giorgia Meloni. Glielo chiederanno in coro tutti gli esponenti della maggioranza. È l’unica certezza che emerge dalla due giorni delle consultazioni al Quirinale, dove ieri sono saliti in delegazione il gruppo misto, l’Alleanza Verdi-Sinistra, il Terzo polo, il Movimento Cinque Stelle e infine il Pd.
Il governo vedrà la luce appena Meloni andrà dal capo dello Stato con la lista dei Ministri, carta che la leader di Fdi tiene coperta fino all’ultimo. Non è escluso che un aggiustamento di rotta all’ultimo sarà suggerito dalla moral suasion del Colle, soprattutto per le caselle su cui l’Europa guarda con maggiore attenzione. Il Pnrr è un fronte aperto, da mettere al riparo. Di nomi sul tavolo di Meloni ne arrivano con insistenza; lei diplomaticamente li fa scivolare in quell’agenda che condivide con Giovanbattista Fazzolari, diventato in queste ore la sua ombra. Il nuovo esecutivo potrebbe giurare nel Salone delle feste del Quirinale già domenica.
La delegazione unica del centrodestra varcherà la soglia del Colle più alto oggi, con una formazione unitaria, collegiale: Berlusconi e Tajani, Lupi, Salvini e la stessa Meloni. Sergio Mattarella si è soffermato con tutti gli interlocutori sui temi più urgenti, sulle indicazioni verso l’incarico già da due mesi ipotecato dalla leader di Fdi e sulla modalità di lavoro delle opposizioni. Argomento, quest’ultimo, che il presidente della Repubblica ha posto al tavolo degli incontri dopo aver ricevuto la formale protesta della delegazione terzopolista. In sala stampa, uscendo dall’incontro con il capo dello Stato, si succedono le brevi dichiarazioni e le domande dei giornalisti. Nicola Fratoianni rilancia il programma con cui è andato alle urne: «Ci si batterà per il salario minimo, per la riduzione oraria, per una legge contro la precarietà, per una manovra progressiva sul terreno fiscale, e su questo si misura o meno la possibilità di una convergenza», ha proseguito. «Il resto – ha concluso – è un dibattito che credo interessi pochissimo agli italiani e alle italiane, e dunque diventa poco interessante perfino per le opposizioni». Le posizioni rimangono distanti tra i gruppi della minoranza.
Calenda e Bellanova, Richetti e Paita – la delegazione del Terzo polo – hanno escluso qualunque appoggio al centrodestra nell’eventualità di spaccatura di Fi. «Devono governare, da noi non arriverà un sostegno sulla fiducia a questo governo – ribadisce Calenda – arriverà se presentano il rigassificatore di Piombino, noi lo voteremo, se arriva un pacchetto sulle bollette fatto bene». Poi, le criticità: «Abbiamo espresso viva preoccupazione per l’incidente che ha visto protagonista prima Berlusconi e poi anche il presidente della Camera, che fanno traballare la linea politica estera dell’Italia».. E ancora: «Berlusconi sta sabotando Giorgia Meloni. Non so cos’altro si può fare oltre a quello che ha fatto il Cavaliere. Noi siamo fieri avversari di Giorgia Meloni, però la leader di Fdi ha il diritto di provare a formare il governo con la sua coalizione senza che l’alleato ogni mattina le accenda una miccia che fa esplodere il Paese».
Ma a Calenda e ai renziani sta a cuore una questione, prima delle altre. «Abbiamo fatto un passaggio con il presidente della Repubblica sul fatto che il Terzo polo sia rimasto fuori dai ruoli parlamentari», ha detto il leader di Azione. «Il punto non è il ruolo del vicepresidente, ma un tema: le istituzioni devono essere di tutti e devono avere una logica di rappresentanza. Non ne facciamo una malattia. Questo non lo abbiamo detto al presidente, ma in altre occasioni: c’è stata una volontà di escluderci. Si parla di opposizione unica», è evidente come ce ne sia “più di una”, in questo caso “sicuramente due”. Appena uscito il Terzo polo, al Quirinale sono entrati i tre rappresentanti del M5s: la delegazione era composta dal leader Giuseppe Conte e dei neoeletti capigruppo: quella del Senato, Barbara Floridia e quello della Camera, Francesco Silvestri. Tra Conte e Mattarella, che aveva in qualche modo sostenuto – dietro la cortina istituzionale – l’operazione di scissione di Luigi Di Maio, non c’è mai stato un particolare feeling. Uscendo, sembra volersi rimettere alla clemenza della corte per l’indicazione dell’incarico, capitolo già scritto.
«Confidiamo nella saggezza e nell’esperienza di Mattarella», è la sua non originalissima dichiarazione ai cronisti. Ed auspica “un governo europeista e a forte vocazione euroatlantica”, puntando subito l’attenzione sulla necessità di un “Negoziato di pace in Ucraina” da conseguire non mandando più aiuti a Kiev: «Per noi la svolta verso il negoziato è prioritaria e riteniamo che non sia più necessario l’invio delle armi da parte dell’Italia». Per il Pd hanno riferito i loro orientamenti al Capo dello Stato il segretario Enrico Letta, i presidenti dei senatori Simona Malpezzi e dei deputati Debora Serracchiani, la presidente dem Valentina Cuppi e la componente del Gruppo, Maria Cecilia Guerra.
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