Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, sa che quanto accade sul campo di battaglia si riflette inevitabilmente sul piano diplomatico. Il sostegno dell’Occidente alla lotta di Kiev contro l’invasione russa non è in discussione. Ma in tanti iniziano a chiedersi, sia negli Stati Uniti che in Europa, quali siano le reali prospettive del conflitto a fronte di una controffensiva che dà indicazioni contradditorie.
L’esercito ucraino avanza ma non tanto da mettere a tacere le voci che – con insistenza – vengono lasciate filtrare da anonimi funzionari del Pentagono e dell’intelligence Usa. E le parole del capo dell’ufficio privato di Jens Stoltenberg, Stian Jenssen, che martedì aveva ipotizzato una cessione di territori alla Russia in cambio dell’adesione alla Nato e della fine della guerra, rappresentano più di un semplice campanello d’allarme.

L’Alleanza ha subito chiarito che non ci sono ripensamenti sull’impegno a favore di Kiev, e che solo quest’ultima deciderà se, come e quando firmare la pace con Mosca. Ma le parole di Jenssen, subito pentito, hanno non solo provocato un certo imbarazzo, ma anche confermato un dibattito in seno all’Occidente che ormai non può essere nascosto. Kuleba, parlando con Afp, ha detto di non avere la sensazione di un aumento della pressione occidentale per la controffensiva e che le voci dei commentatori “spariranno” quando l’Ucraina avrà ottenuto “una prima vittoria”. Il ministro degli Esteri ha però detto anche qualcos’altro, e cioè che “non importa quanto tempo ci vorrà” per vincere la guerra. Tuttavia, è proprio il tempo che decide il destino del Paese. Perché esso può giocare tanto a favore dell’Ucraina quanto della Russia, tanto più in una guerra combattuta tra trincee, villaggi e campi minati mentre le bombe e i droni russi continuano a cadere sul territorio ucraino.

Kiev sa di avere bisogno di tempo, forse mesi, per completare l’addestramento dei propri soldati con le migliori tecniche e i mezzi occidentali. E questo vale soprattutto per i piloti che attendono l’arrivo degli F-16. Il portavoce dell’aeronautica ucraina, Yuri Ihnat, ha ammesso che i suoi uomini non potranno usare quegli aerei né in autunno né in inverno, confermando i timori di chi sospettava che le tempistiche sull’arrivo dei caccia fossero fin troppo vaghe. Il tempo serve inoltre ad addestrare i vari battaglioni a fronte di tattiche nuove per mezzi nuovi. Elemento, quest’ultimo, sottolineato anche da diversi analisti, che addirittura ritengono che l’esercito di Kiev sia costretto a utilizzare di nuovo le tattiche sovietiche per non rimanere impantanato in questo limbo. L’esercito di Volodymyr Zelensky, infine, ha bisogno di tempo per avanzare nei territori occupati, dove proprio i mesi trascorsi tra l’offensiva russa e l’inizio della campagna estiva ucraina hanno permesso alle forze di Mosca di fortificare il fronte rendendo difficile avanzare nelle varie direzioni pensate dagli strateghi di Kiev.

I comandi ucraini hanno annunciato il ritorno al fronte del Battaglione Azov, ora Brigata per le operazioni speciali, che combatte in particolare sul fronte di Luganks. Ma non è possibile dire quanto questo innesto, per quanto simbolico per i soldati al fronte, possa essere decisivo sul piano tattico. Il problema è che, mentre Kiev dimostra che non è possibile velocizzare la controffensiva “a comando”, il tempo gioca anche a svantaggio di Zelensky. Alcuni segmenti della politica europea potrebbero iniziare a esprimere dubbi per il sostegno a oltranza all’Ucraina, e alcuni segni di cedimento si iniziano a intravedere anche nei Paesi più coinvolti. La Cina e il “sud del mondo” chiedono con insistenza una soluzione negoziale e non sembrano intenzionati, pur condannando l’invasione, a isolare completamente la Russia. A ciò si aggiunge il dilemma degli Stati Uniti che, se da una parte continuano ad autorizzare sostanziosi pacchetti di aiuti per l’Ucraina, dall’altra parte non nascondono la paura di rimanere inghiottiti in una “guerra infinita” che ancora oggi rappresenta l’incubo dell’elettore medio, specialmente repubblicano. E questo a maggior ragione con le presidenziali il prossimo anno e con un’amministrazione Biden preoccupata di presentarsi alle elezioni senza un risultato tangibile in politica estera.
La speranza di Kiev è che una rinnovata spinta a sud o est possa spezzare la prima linea del fronte russo. E forse solo questo potrebbe placare i dubbi che nascono dal vero regista oscuro di questa guerra: il tempo.