I “deficienti” si fanno sentire. Giusto per dimostrazione che non sono così scemi come il Cremlino vuol farli passare. Lo fanno con il più falco dei volenterosi, il presidente Emmanuel Macron, e il più autorevole dei banchieri, Mario Draghi. Con la sua intervista a Tf1, Macron ha mandato su tutte le furie la portavoce dello zar, Maria Zakharova. A un anno dalla proposta di inviare soldati Nato al fronte ucraino, l’inquilino dell’Eliseo ricarica il fucile e mette a disposizione della sicurezza europea l’arsenale nucleare francese. Le basi in Germania e Polonia potrebbero ospitare velivoli in grado di trasportare armi atomiche. È la prima volta, nella storia della Quinta Repubblica, che un presidente francese osa tanto. Parigi investe circa 5,6 miliardi di euro l’anno per mantenere e modernizzare una force de frappe nata per volontà del più sovranista dei presidenti francesi; Charles de Gaulle.

L’arsenale nucleare francese

Il nucleare rappresenta circa il 15% del budget annuale della difesa transalpina. Tre le condizioni fondamentali per cui Parigi potrebbe farla europea: 1) la Francia non finanzierà la sicurezza di altri Paesi; 2) non ci sarà una riduzione delle capacità strategiche francesi; 3) la decisione finale sull’uso delle armi nucleari resterà sempre al presidente francese. Se andasse in porto il progetto (il sogno?) di Macron, Parigi andrebbe in concorrenza con il “nuclear sharing” americano, interrompendo quindi le polemiche pretestuose dell’Amministrazione Trump per cui l’Europa è una parassita che non difendersi da sola.

La fake della cocaina

Di fronte a tutto questo, Mosca non poteva che reagire male. Dopo aver millantato che il presidente francese ha tirato di cocaina, con Merz e Starmer, sul treno per Kyiv domenica scorsa, Zakharova ha accusato la Francia di alzare il livello di minacce. Dimenticando ovviamente che, senza l’inizio delle operazioni di sicurezza – per usare una loro terminologia – in Ucraina, nulla di tutto questo sarebbe successo. E così Gazprom continuerebbe a scaldare le nostre case e gli oligarchi del Cremlino potrebbero divertirsi nelle loro ville in Sardegna, oggi sotto sequestro.

Ma il tema di chi abbia iniziato tutto è ormai influente. Conta di più smontare le tesi di un’Europa assente e silenziosa. Un’Europa nelle mani degli interessi nazionali – Westfalia style – che impedisce decisioni condivise. Le sanzioni, di cui è stato varato il 17esimo pacchetto proprio ieri, e l’attivismo dei volenterosi sono la conferma che il Vecchio continente è consapevole dei rischi. Le minacce all’Ucraina, tema del più recente fascicolo di Eurojust – l’agenzia Ue per la cooperazione giudiziaria penale – devono interpretate come attacchi diretti a noi. È per questo che dobbiamo reagire. Tuttavia, è preoccupante – come ha segnalato Filippo Sensi – che il caso, oggetto di discussione in Commissione Affari Europei del Senato, sia stato bloccato dai 5 Stelle, che hanno lavorato come quinta colonna del Cremlino.

L’immobilismo Ue e la scossa di Draghi

Il vento deve cambiare. Lo ha detto anche Mario Draghi: «L’Ue, complessivamente intesa, può contare su una delle forze militari più grandi del mondo, con 1,4 milioni di uomini in armi, una forza che, divisa in 27 Stati e priva di una catena di comando comune, ci rende irrilevanti». Parlando al vertice Cotec a Coimbra, l’ex premier è tornato a sforzare l’Unione. «Le crescenti minacce sul nostro confine orientale sono evidenti da almeno un decennio. Con il ritrarsi dell’ombrello di sicurezza Usa, stiamo cominciando a renderci conto della nostra debolezza». Parole in linea con quelle di Macron e poi di Mattarella, anch’egli a Coimbra. Il vero male europeo è l’immobilismo. Le grandi manovre dell’Eliseo, e le visioni d’insieme di Supermario possono contrastarlo.