Dalla presentazione di Per Napoli Civile, cui hanno in pochi giorni aderito oltre mille cittadini ed è seguita la proposta dei 101 di Ricostituente, si è finalmente acceso il dibattito sul dopo-de Magistris. Il nome Per Napoli Civile esprime la natura squisitamente civica del movimento, cioè l’impegno affinché la città sia un luogo dei cittadini considerati come parte d’una comunità. Ma perché cittadini che non appartengono a un comune schieramento partitico si mettono in gioco, in una realtà difficile da amministrare e in un momento in cui il Comune è fortemente indebitato? La risposta risiede in ciò che è avvenuto, pochi giorni fa, durante la discussione del rendiconto del 2019 al Consiglio comunale. Questo atto dovrebbe costituire un momento di verifica, da parte dell’assemblea civica, del raggiungimento degli obiettivi indicati nel bilancio di previsione.

Il che significa che il Consiglio, organo di indirizzo e di controllo, dovrebbe essere in grado di valutare se gli obiettivi sono stati raggiunti e, se ci sono stati scostamenti, se questi sono giustificati. Sono altri gli organi, in particolare il collegio dei revisori dei conti, che dovrebbero valutare il bilancio dal punto di vista tecnico. Invece abbiamo assistito a un Consiglio nel quale non si è mai parlato di obiettivi raggiunti, ma di chiacchiere di nessun interesse. E i migliori interventi hanno affrontato soprattutto le numerosissime criticità sugli aspetti formali e tecnici delle diverse poste di bilancio.

Perché è questo il livello del dibattito in Consiglio? Una prima motivazione è che si approvava un bilancio non approvabile e che, in certe condizioni, il Comune avrebbe già dovuto dichiarare il dissesto. Una seconda e più importante motivazione è che non c’erano, in realtà, altri obiettivi oltre la mera sopravvivenza della Giunta e del Consiglio stesso. Perciò i cittadini non possono far altro che prendere l’iniziativa e costruire un’alternativa al quadro desolante offerto dai partiti. Il principale obiettivo dev’essere la politica della buona e sana amministrazione della cosa pubblica. Il che significa valorizzare le risorse a disposizione, ma conservando la capacità di accedere a risorse aggiuntive, come quelle europee, e di spenderle in modo proficuo ed efficace, a differenza di quanto accaduto con i fondi per il centro storico.

La politica della buona amministrazione deve riguardare ogni attività dell’ente e delle partecipate, non più usate come “banche” allo scopo di mantenere il bilancio comunale in equilibrio fittizio. Le partecipate devono fornire i servizi previsti al meglio delle loro possibilità e con piani di investimento e di miglioramento delle performance realistici e realmente perseguiti. In secondo luogo, la politica della buona amministrazione mette al centro le esigenze dei cittadini, l’ascolto, il dialogo e la ricerca costante di soluzioni idonee, senza pregiudizi di sorta e senza far prevalere interessi di parte. Pensiamo alla movida. Ci sono due opposte esigenze: quella dei residenti, che desiderano riposo e sicurezza, e quella degli imprenditori, che chiedono di lavorare. Tali necessità devono trovare un equilibrio anche attraverso scelte drastiche, se altre soluzioni non sono praticabili. Un esempio? La delocalizzazione delle attività economiche in aree maggiormente idonee come il molo San Vincenzo. In terzo luogo, la politica della buona amministrazione deve avere un progetto di sviluppo non limitato all’orizzonte temporale dettato dalle scadenze elettorali.

Servono strategie di ampio respiro, non mere speculazioni come l’America’s Cup o Monumentando, in grado di offrire soluzioni e dare una prospettiva, esprimendo la visione della città che vogliamo vivere e lasciare ai nostri figli. I temi sui quali attivare progetti di ampio respiro sono tantissimi e la loro individuazione è un processo lungo che si è via via sedimentato in questi anni in cui potevamo solo immaginare un futuro diverso dal drammatico presente che eravamo costretti a vivere. Indico alcuni di questi temi: giovani, scuola, formazione. Per Napoli Civile intende sostenere politiche attive per l’obbligo scolastico, contro la microcriminalità giovanile e le dipendenze, capaci di affrontare il degrado economico, sociale e culturale in cui troppi ragazzi sono costretti a vivere. In tal senso, Napoli può vantare mirabili esperienze come l’associazione Artur, che agisce sui rischi cui i giovani vanno incontro quando sono privi di figure-guida, e Figli in Famiglia, da anni in prima linea per migliorare la qualità della vita sul nostro territorio.

E le attività produttive? Sul turismo va aperto un tavolo specifico con le tante professionalità e i numerosi operatori attivi a Napoli. La strategia dev’essere quella di sostenere le attività già in essere e aiutare chi vuole intraprendere nuove iniziative: dare attuazione ad azioni per il sostegno dell’occupazione attraverso il sostegno allo sviluppo imprenditoriale. La politica della buona amministrazione, ancora, non può eludere il tema dell’ambiente. Napoli ha assoluta necessità di un piano per il verde al quale dedicare risorse significative le cui modalità di spesa vanno attentamente monitorate. In questi anni il Comune ha stanziato annualmente fino a 5 milioni di euro per il verde, per un totale di quasi 50 milioni complessivi, cui si aggiungono le risorse recentemente concesse dalla Città metropolitana. Ebbene, con questi fondi la città si sarebbe dovuta presentare oggi come i giardini di Babilonia.

Invece il verde è stato sistematicamente distrutto, non ci sono più strade alberate, i parchi versano in condizioni pietose e al primo soffio di vento dobbiamo temere per la nostra stessa vita. E poi c’è il mare che va tutelato e valorizzato affinché diventi uno strumento per migliorare la qualità della vita e, nello stesso tempo, per rendere la città più attrattiva. Il lockdown ci ha mostrato che il mare di Napoli può essere tutto balneabile, ma è necessario comprendere le cause dell’inquinamento. In un secondo momento bisogna fare di parte della costa partenopea una spiaggia curata e manutenuta. Ma una città di mare non può essere priva di un porto turistico. Ecco, dunque, un altro problema da risolvere: in questa città è costoso e proibitivo avere anche una piccola imbarcazione; nelle località di mare di altre regioni italiane o Paesi, invece, diporto, pesca e vela sportiva sono attività alla portata di tutti. Solo quando i cittadini potranno tornare a vivere il mare, come è stato per la maggior parte della storia millenaria di questa città, Napoli tornerà a essere un luogo all’altezza della fama della sua mitica sirena.