Ricordate i raduni della Lega Nord dei tempi d’oro? Quelli a Pontida, con Umberto Bossi che mostrava l’ampolla contenente l’acqua del Po, Mario Borghezio in elmo cornuto che faceva il gesto dell’ombrello ai meridionali e il tripudio di bandiere col sole delle Alpi scandito dalle note del Va’ pensiero? Probabilmente è a quel modello di provincialismo, nel contempo stucchevole e becero, che si è ispirata l’attuale amministrazione comunale di Napoli nell’istituire la giornata dell’orgoglio partenopeo. Sarà celebrata il 30 settembre con l’obiettivo di «salvaguardare la memoria storica», «valorizzare la cultura», «riconoscere il valore di quanti hanno lottato per la difesa delle nostre terre» e di «chi porta in alto il nome di Napoli nel mondo». Di che cosa parliamo?

Del nulla amministrativo, del quale il primo cittadino partenopeo è ormai l’incarnazione. La vicenda ricorda un po’ quella del Titanic. Mentre la città affonda, stritolata da un debito che toccherebbe addirittura i quattro miliardi di euro, dalla crisi economica indotta dal Coronavirus e da una criminalità sempre più aggressiva, l’orchestra di de Magistris continua imperterrita a suonare. Cioè a produrre futilità. Nessuno, a Palazzo San Giacomo, ipotizza una strategia per ripianare, almeno in parte, il debito che in nove anni di amministrazione arancione si è praticamente quintuplicato. Non una parola sui pessimi servizi offerti a cittadini e imprese, a cominciare da quelli di trasporto. Nemmeno un accenno all’idea di città che la classe dirigente partenopea dovrebbe realizzare nei prossimi anni. A tutto ciò, d’altra parte, il sindaco ci ha abituato. Napoli, infatti, è la città nella quale non si inaugura il museo di Totò né il parco di Caruso ma dove, nello stesso tempo, a questi personaggi si dedicano soltanto murales. Stesso discorso per le periferie che Dema e soci pensano di abbellire con i graffiti di Jorit; di una vera strategia di rilancio per Ponticelli o per Bagnoli, però, non c’è traccia. Insomma, Napoli è ormai una città dove i progetti non si realizzano ma, in compenso, si inaugurano murales e si intitolano strade.

Poco più di una finzione, dunque: la capitale del Mezzogiorno è ridotta a una vuota rappresentazione di se stessa. Davanti a questo disastro, de Magistris ha pensato bene di rispolverare le sue attitudini da capo ultrà. Ve lo immaginate con la bandana arancione al posto dell’elmo cornuto, la maglia di Maradona invece di quella verde Lega e l’ampolla alla fonte del Sebeto? E intorno una folla in delirio che divora pizze sulle note di ‘O surdato ‘nnamurato? È appena il caso di ricordare che, quando Bossi e Borghezio si abbandonavano a certe manifestazioni di celodurismo padano, l’Italia intera li sbeffeggiava e a Napoli molti li guardavano con sdegno. Ma Dema, evidentemente, l’ha dimenticato. A questo punto sono due gli interrogativi da porsi.

Il primo: esattamente, di che cosa si dovrebbe essere orgogliosi? Della cultura e della storia di Napoli, certo, che però non possono cancellare l’attuale condizione di disfacimento economico e sociale di cui la città è protagonista da qualche anno a questa parte. Ed ecco la seconda domanda: è di una giornata dell’orgoglio partenopeo che Napoli ha bisogno? Probabilmente no. Ecco perché ci permettiamo di rivolgere al sindaco un suggerimento: istituisca la giornata del risanamento del debito, dell’efficientamento dei trasporti, della manutenzione del verde pubblico, della corretta gestione del patrimonio, delle periferie rinnovate, della sicurezza e della vivibilità. Può darsi che, in questo modo, i napoletani avranno finalmente una buona amministrazione.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.