Gennaro Migliore lo dice chiaro e tondo al Riformista:Enrico Letta decida se vuole vincere o perdere le elezioni. Nel primo caso, la scelta è obbligata: aprire ad un listone inclusivo di tutti i riformisti. Un unico fronte riformista”. Il segretario dem ci pensa. In cuor suo sa che è la strada maestra. Ma i rapporti con i cespugli non sono dei migliori: ha subìto in questi anni continui attacchi dall’area riformista, data la relazione speciale che aveva intrecciato, in buona parte ereditandola, con i populisti a Cinque Stelle. Matteo Renzi, Carlo Calenda, Emma Bonino non hanno mai smesso di rimproveragli di aver sostenuto con determinazione a tratti cieca quello che hanno definito “patto scellerato”.

Adesso la notizia del divorzio – definitivo, certificano al Nazareno – con quella ridotta del partito di Giuseppe Conte, consente di ripensare alleanze e schieramenti. Letta è in posizione di kingmaker. Nel gioco delle parti, si fa pregare mentre i partiti minori lo cercano. È nelle cose che un accordo si trovi, posto che la premialità di coalizione privilegia le alleanze ampie (non esiste più il Campo largo ma il “Campo aperto”) e che il meccanismo perverso del rosatellum prevede per il proporzionale anche il recupero coalizionale, ovvero l’assorbimento, da parte della lista maggiore, della somma delle liste coalizzate che avendo preso dall’1 al 2.9% non esprimono eletti. Il progetto in effetti al Nazareno c’è, circola come documento con l’imprinting di Dario Franceschini.

Quando il gioco si fa duro, è sempre il potentissimo Ministro della cultura, scuola democristiana doc, a scendere in campo per primo. Era stato infatti lui a parlare di listone con il Corriere, quando Letta ancora doveva digerirlo. Alla fine Franceschini ha convinto tutti, illustrando al segretario dem una strategia con diversi traguardi. Letta prima di metterci il sigillo ha preteso almeno un marchio che occhieggiasse a sinistra, anche per coprire il posizionamento che andrà a contendere l’ex alleato grillino: ecco “Democratici e Progressisti”, la veste scelta per la competizione elettorale, abbracciare potenzialmente l’arco più vasto, sfidando Fratelli d’Italia come primo partito. Un risultato non da poco, perché darebbe una qualche arma in più al Capo dello Stato il 26 settembre. Mattarella potrebbe dare un incarico per esplorare una ipotesi forse innominabile ma niente affatto improbabile: una Grosse Koalition con il listone Dep, i centristi, Lega e Forza Italia.

Una riedizione della maggioranza che potrebbe perfino richiamare Draghi a Palazzo Chigi. Il senatore dem Enrico Borghi proietta nei collegi l’alleanza più vasta, che definisce poeticamente: “Mare aperto”. Acque solcate, tra i marosi di questa pazza estate, dalla scialuppa di salvataggio di Carlo Calenda, che ieri ha accolto a bordo anche Maria Stella Gelmini. Nella conferenza stampa di Più Europa e Azione c’è spazio per conferme e aperture: “Stiamo parlando con Letta. Non c’è nessuna chiusura per Renzi”. La lancia del leader di Italia Viva rimane in rada. Il simbolo è diventato una R che sta per Riformisti. La vocazione è inclusiva. “Stiamo facendo capire a tutti, a partire da Enrico Letta, che è il momento di unire i riformisti e che se smettiamo di fare la guerra tra noi e rivolgiamo le nostre attenzioni al Paese, ripartendo dall’agenda Draghi, vincere non è impossibile”, appunta il deputato renziano Migliore.

Le gambe di cui si dota il centrosinistra sono al momento quattro. C’è il Pd, il fronte riformista (Azione, Italia Viva e Più Europa cubano secondo YouTrend tra 7 e 8%), il gruppetto di sinistra che unisce Verdi, Sinistra Italiana e Mdp-Articolo1 e infine la “Lista civica nazionale”. In questo laboratorio multiforme ci sono Luigi Di Maio e Bruno Tabacci (che gli ha conferito il prezioso marchio del Centro Democratico). Ci sono riformisti di esperienza come Claudio Signorile e Franco D’Alfonso. Giovani attivisti come Piercamillo Falasca, radicale vicino a Mara Carfagna. E ci sono giovani sindaci civici: potrebbe annunciare la discesa in campo con loro anche Federico Pizzarotti, ma in tutto sono decine i volti nuovi che dalla società civile potrebbero fare capolino in Parlamento. Mercoledì a Roma l’evento di lancio, con il nome di Federazione Civica. Per oggi è attesa una telefonata del sindaco di Milano, Beppe Sala, ad Enrico Letta: si parlerà di un impegno in campagna elettorale ma per ora senza alcuna etichetta. Ha invece sciolto le riserve Nicola Zingaretti, che si candiderà alla Camera, dimettendosi appena eletto.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.