“Accuso con fermezza l’ordine giudiziario in quanto tale di aver vilipeso i codici su punti nodali della nostra società procedendo al di fuori delle norme sul diritto all’identità e all’immagine e alla vita delle persone e delle associazioni giudicando secondo arbitrio assoluto”. Queste parole di Marco Pannella costituiscono l’epigrafe del libro Il fatto non sussiste di Irene Testa, con la prefazione di Gaia Tortora, (LeStradeBianche). Sono parole che – spesso accade quando leggo Pannella – mi hanno colpito allo stomaco.

Esse e le pagine di questo libro devono spingere a porsi domande essenziali, molto semplici: sappiamo che le questioni e le soluzioni sono complesse, ma non dobbiamo dimenticare – sembrano dirci quelle parole, quelle pagine – l’essenzialità delle vite umane ingiustamente travolte dai meccanismi giudiziari. Irene Testa, tesoriera del Partito Radicale, nell’introduzione a questo piccolo volume chiarisce di aver raccolto storie personali di orrori/errori giudiziari dalla diretta voce dei loro protagonisti ospiti della rubrica “Lo stato del Diritto”, dalla stessa curata su Radio Radicale: “Ho ritenuto che questi preziosi racconti andassero pubblicati perché mostrano una fotografia del dolore che tutti noi, da cittadini, rischiamo ogni giorno di subire. A causa di un sistema arroccato nella celebrazione e conservazione del proprio status quo anziché del diritto, dei diritti, della democrazia della Repubblica. Questo è il momento giusto per farlo”.

Il libro ha una finalità esplicita (nelle varie storie-interviste il tema ritorna sempre): motivare gli italiani chiamati al voto il prossimo 12 giugno a manifestare il loro assenso ai quesiti referendari in materia di giustizia. Le storie raccontate sono molto diverse e la loro capacità di farsi comprendere dal lettore – e orientarlo nella consapevolezza delle questioni che agitano il mondo della giustizia, soprattutto penale – varia in base alla disponibilità dell’interlocutore a entrare più nel dettaglio (spesso le storie sono troppo sintetiche e non consentono di farsi un’idea sufficientemente precisa del caso): un capitolo che colpisce è quello dedicato all’esperienza di Giovanni Terzi, assolto prima in appello e poi in Cassazione, su gravami interposti dalle competenti Procure e poi respinti, dunque – assoluzione verificatasi nel 2006, otto anni dopo aver subito la carcerazione preventiva.

Il capitolo è, al contempo, un riconoscimento dell’umanità e della competenza che Terzi ha ritrovato nel mondo del carcere (il direttore di quello di Opera) e della magistratura (lo scrupolo dei collegi giudicanti di secondo e terzo grado), e però anche la presa d’atto della grave disfunzione della macchina giudiziaria, quando essa sbaglia. Personalmente, non so se rispondere “sì” ai quesiti possa essere d’aiuto. Ma di certo quella presa d’atto dell’eccesso di errori giudiziari sfocianti in ingiusta detenzione, soprattutto cautelare, a soluzioni specifiche deve portare: altrimenti blaterare di stato costituzionale di diritto è retorica. Di questo libro e di questi temi si occuperà il convegno organizzato da Libera Unione Forense per il prossimo 30 maggio alle 14.30 alla via Vittorio Emanuele III n. 310.