Inchiodati a una foto di quindici o venti o trent’anni fa. La foto che scattò all’imputato il pubblico ministero. E che lo rende sospettabile per sempre. Oltre che detenuto per sempre. Come vuole Travaglio, per il quale “certezza della pena” equivale a certezza del carcere. Questo è il senso del decreto legge approvato dal governo due sere fa per condizionare l’autonomia dei giudici di sorveglianza al parere (pur se non vincolante, ma sicuramente invadente e ritardante) innanzi tutto di quel Pubblico ministero che in aula, anni e anni prima, chiese e poi ottenne la condanna.

Che cosa vuol dire, concretamente, il fatto che il giudice e il tribunale di sorveglianza prima di decidere per un permesso o detenzione domiciliare nei riguardi di un condannato per mafia o terrorismo debbono consultare il pubblico ministero del processo che lo ha giudicato? Qui non si parla del tribunale o del presidente, cioè di organi giurisdizionali, ma di una parte processuale, quella dell’accusa che dovrebbe equivalere alla difesa. E siamo alle solite, quando al ministro della giustizia che ha ispirato il decreto mancano i fondamentali. Nell’aula dove si celebra il processo c’è l’imputato, non il “mafioso”. L’imputato che al termine del dibattimento può essere assolto o condannato, e lo stesso accade in tre gradi di giudizio. Che a volte sono anche più di tre.

Saranno dunque consultati tutti i rappresentanti dell’accusa di ogni processo o non sarà invece sentito solo il primo, cioè il pm che per primo ha indagato, quello che ha conosciuto una persona per come era molti anni prima del momento in cui avrà diritto ad avere per esempio un permesso? Tanto per fare un esempio, avrebbe dovuto essere il pm Catello Maresca a sussurrare nell’orecchio dei giudici di sorveglianza di Sassari un parere sulla detenzione domiciliare di Pasquale Zagaria? Stiamo parlando del magistrato che ha aggredito in una trasmissione televisiva il capo del Dap Francesco Basentini per i ritardi del suo ufficio e che considera i domiciliari concessi al detenuto la certezza che si stia “ricostituendo uno dei clan più pericolosi del Paese”, cioè il gruppo camorristico dei Casalesi.

Su questo giornale Angela Stella ha ripetutamente raccontato la storia di Pasquale Zagaria, considerato la mente economica del gruppo camorristico che faceva capo a suo fratello, ma che non si era mai macchiato di fatti di sangue, si era costituito spontaneamente nel 2007 e aveva ammesso le sue responsabilità. Gravemente malato di tumore è ora detenuto al domicilio per i prossimi cinque mesi e si potrà curare. Ma se i giudici di sorveglianza avessero dovuto consultare il dottor Catella, magari lo avrebbero condannato a morte. Non ci sarebbero stati i ritardi del Dap, ma l’immediato pollice verso contro il “camorrista”. Senza bisogno di leggere le carte, le diagnosi dei medici. Diverso sarebbe stato se invece il decreto Buonafede avesse stabilito di sentire un organo giudicante, come per esempio la Corte d’appello di Napoli che nel 2015 aveva tolto a Zagaria la misura di prevenzione della sorveglianza speciale e che aveva escluso , quanto meno a partire dal 2001, la sua “appartenenza all’associazione camorristica”.

Ma il pubblico ministero Maresca, che non può ignorare il cursus del detenuto, visto che non solo lo aveva inquisito una quindicina di anni fa, ma ancora oggi ne parla in numerose interviste, lo vuole inchiodare alla sua prima foto. Tutto quello che è successo dopo non rileva. Tutto quello che scrive nell’ordinanza che ha disposto la detenzione domiciliare il dottor Riccardo De Vito, che purtroppo per il nostro ordinamento è collega di Catello Maresca, cioè lui che è un giudice ha fatto lo stesso concorso di un pubblico accusatore, è carta straccia. Per l’uno Pasquale Zagaria è un anziano detenuto gravemente malato e da tempo non più legato al suo passato, per l’altro è solo un camorrista. Punto.

Questo è il senso di un decreto legge sollecitato a gran voce da un’ associazione di stampo forcaiolo che va dai soliti travaglisti fino a al Pd e a Renzi e ai partiti dell’opposizione, nel silenzio dell’ufficialità di Forza Italia. Che si prepara come al solito, immaginiamo, alla consueta e un po’ ipocrita “libertà di coscienza” in sede di conversione. Forse non è chiaro a tutti che stiamo assistendo all’ennesimo rafforzamento del ruolo del pubblico ministero, persino di quello del passato. Se a questo aggiungiamo, per detenuti al 41bis, anche la necessità di consultare il Procuratore nazionale antimafia che deve attestare la pericolosità del detenuto e l’attualità del suo collegamento con la criminalità organizzata, vediamo con chiarezza l’oggettivo svuotamento del ruolo dei giudici e tribunali di sorveglianza. E’ come se all’improvviso stessero entrando nelle carceri degli squadroni della morte con i lanciafiamme e ne stesse uscendo il Diritto. Alla faccia della Costituzione, che considera fondamentale il diritto alla salute e indica come rieducativa la funzione della pena.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.