Il Governo Draghi ha, innanzitutto, il compito di affrontare la pandemia: finché non è risolta l’emergenza sanitaria è difficile dare risposte efficaci all’emergenza economica ed alla conseguente emergenza lavorativa. Inutile soffermarsi, in questo momento, sulla adeguatezza o no delle risposte date dal precedente governo. È certo, comunque, che è necessario, per poter uscire dall’emergenza, un radicale cambio di passo. Che coinvolga non solo gli aspetti più strettamente tecnici, quali quelli connessi al piano vaccinale e alla predisposizione delle terapie intensive, ma anche il tema del rapporto con la collettività. Un dato che ha, difatti, caratterizzato sinora la gestione della pandemia è stato quello della opacità. Su questo punto il cambio di rotta deve essere urgente e netto.

Occorre, per la verità, riconoscere che la opacità non ha riguardato solo l’Italia. A cominciare dalla condotta della Cina quando il Covid19 ha cominciato a manifestarsi, è stato un susseguirsi di informazioni monche, fuorvianti, spesso condizionate dalle esigenze della comunicazione politica. Basta pensare, per comprendere l’estensione del fenomeno, che anche nell’Unione Europea i contratti stipulati dalla Commissione con le grandi case farmaceutiche per l’acquisto dei vaccini sono stati a lungo mantenuti riservati. Quando, finalmente, su pressione del Parlamento europeo alcuni di essi sono stati resi pubblici, gli stessi sono stati divulgati dopo aver cancellato tutte le parti più salienti, quali quelle sul prezzo, sul programma delle consegne, sulle responsabilità, etc.

In Italia la opacità nella gestione della pandemia è stata, sinora, massima. Essa ha riguardato tre versanti: quello dei contratti, quello dei presupposti sulla base dei quali sono stati adottati provvedimenti addirittura limitativi delle libertà fondamentali e quello dei dati utili per ricostruire il reale andamento della pandemia nei vari territori. Per quello che concerne il primo aspetto, la struttura commissariale, attraverso la quale sono stati acquistati i presidi necessari per affrontare la pandemia, dalle mascherine ai banchi a rotelle, ha pubblicato sul suo sito solo alcuni dati essenziali dei contratti stipulati, rifiutando di rendere noto il loro integrale contenuto invocando la clausola delle ragioni di sicurezza nazionale.

Tenuto conto delle cifre colossali spese, delle notizie di stampa sulla eccessiva onerosità delle forniture rispetto ai prezzi di mercato e sui dubbi che riguardano alcuni intermediari che appaiono improvvisati, l’utilizzo della clausola di tutela della sicurezza nazionale non può che lasciare perplessi. È stata spesa una enorme quantità di denaro pubblico e, di conseguenza, sarebbe più che appropriato consentire alla collettività conoscere come ed a quali condizioni quel denaro è stato speso. Per quello che concerne il secondo aspetto, basta ricordare che il Tar del Lazio è dovuto intervenire ben tre volte per ordinare al Governo di consentire l’accesso ai dati sulla base dei quali sono stati adottati i Dpcm con cui sono state limitate le libertà fondamentali. Una prima volta, il 23 luglio 2020, il governo ha perso il giudizio che lo vedeva contrapposto alla Fondazione Einaudi, che chiedeva fossero resi pubblici i verbali del Comitato tecnico scientifico, che costituivano il fondamento dei citati Dpcm. Peraltro, quei verbali continuano, ancora oggi, a restare per la più gran parte segretati.

Una seconda volta, con ordinanza del 4 dicembre, il Tar ha disposto che fosse consentito l’accesso al verbale del Comitato tecnico scientifico del 31 agosto, sulla base del quale il Dpcm del 3 novembre ha fissato l’obbligo dell’uso prolungato della mascherina in classe per gli alunni da sei ad undici anni. Da ultimo, ancora il Tar, con la sentenza n. 827 del 22 gennaio 2021, ha deciso, su ricorso di due deputati di Fratelli d’Italia, che fosse reso noto il piano nazionale di emergenza. La mancata pubblicità dei verbali del Comitato tecnico scientifico e, anzi, la resistenza a renderli pubblici appare ancora più grave ove si consideri che l’utilizzo dello strumento dei Dpcm ha consentito all’esecutivo di sottrarsi anche al dibattito parlamentare rispetto a misure limitative delle libertà fondamentali. In definitiva, su un tema così delicato, il Governo ha cercato di sottrarsi a qualsiasi controllo e solo l’intervento della magistratura ha permesso un, sia pure parziale, accesso ai dati.

Infine, con riguardo al terzo aspetto, sia gli studiosi che aderiscono al think tank Lettera 150, sia quelli che aderiscono alla Fondazione Hume e sia il Presidente dell’Accademia dei Lincei, Giorgio Parisi, hanno chiesto ripetutamente, e sempre inutilmente, di poter accedere ad un data base pubblico, con tutte le informazioni utili e necessarie per ricostruire in modo scientificamente attendibile e politicamente neutrale l’andamento della pandemia e così aiutare a combatterla. Appare evidente, dunque, che la gestione della pandemia è stata sinora sotto troppi profili opaca. È stata palesemente violata quella regola di trasparenza, che costituisce uno dei canoni fondamentali delle democrazie liberali.

Violazione tanto più grave ove si consideri che ad essa si è aggiunta, come si è già accennato, la sostanziale esautorazione del Parlamento attraverso l’utilizzo dello strumento dei Dpcm. Diventa, allora, inevitabile osservare che la gestione della pandemia è avvenuta in modo più coerente con l’assetto di uno stato totalitario che con quello di una democrazia compiuta. Di qui l’urgenza che il nuovo Governo metta immediatamente fine a questo modo di procedere. Proprio la delicatezza della materia e la sua diretta incidenza sulla vita di ogni cittadino impongono che ciascuno possa valutare sulla base di quali dati di fatto siano adottati sia i provvedimenti che limitano le libertà e pregiudicano le attività economiche e sia le decisioni di spesa volte ad acquistare i beni necessari per fronteggiare la pandemia.