Ci saranno 4-5 parole chiave nel discorso che stamani il premier Draghi pronuncerà davanti ai senatori per avere la prima delle due fiducie previste. Tra queste, quella su cui tutti metteranno oltre alle orecchie anche cuore e cervello è vaccini. «È la prima emergenza economica», aveva detto il premier durante le consultazioni. «Servono più dosi, una diversa logistica sul modello inglese – aveva spiegato – che consenta di procedere spediti e avviare la produzione anche in Italia, cosa che porterà posti di lavori e una filiera produttiva qualificata».

Da allora a oggi, cioè in dieci giorni, la situazione è di nuovo a rischio per via delle varianti destinate ad aumentare il numero dei contagi. E questo, oltre ai rischi sanitari, mette ulteriormente in tensione l’economia e fa essere subito troppo corta la coperta del decreto Ristori 5. Se a questo si aggiungono le liti e le fibrillazioni di una maggioranza che va da Lega a Leu, dove Salvini già chiede la testa di Speranza che «l’ha fatta veramente grossa con lo stop agli operatori della montagna a dodici ore dalla riapertura degli impianti», mentre il suo consigliere Walter Ricciardi auspica lockdown durissimi, si capisce come Draghi preferisca al momento studiare la scena e le possibili soluzioni restando lontano dal ring delle dinamiche politiche. Nel suo ufficio a palazzo Chigi.

I vaccini dunque. Le cose non vanno come previsto, la Commissione ha ammesso errori nella stesura dei contratti. Ma nelle ultime ore si registra quel cambio di passo su cui il premier indugerà stamani e che sta prendendo forma nei vertici economici di queste ore (Ecofin) e di venerdì (G7), nei contatti diretti di Ursula von der Leyen e del commissario all’Industria e al Mercato interno. La presidente von der Leyen ha promesso «corsie autorizzative preferenziali per i nuovi vaccini e per quelli adattati per le varianti del virus». Un po’ di burocrazia in meno a livello di Ema che non andrà ovviamente a togliere in qualità. Ieri il gruppo americano Johnson&Johnson ha richiesto a Ema l’autorizzazione per la commercializzazione del vaccino e la Commissione si è impegnata a dare l’ok un attimo dopo il via libera scientifico. Il vaccino di Janssen (J&J) sarà il quarto nell’Ue, dopo Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca. E questa è certamente una buona notizia per tutti. Il premier fornirà dettagli anche circa la richiesta del commissario Thierry Breton per «identificare aziende farmaceutiche italiane che abbiano le caratteristiche e le capacità per aumentare la produzione di vaccini sul territorio europeo».

Si tratta di aumentare la capacità e convertire i macchinari dove è possibile. Il target di Bruxelles è far sì che l’Europa diventi nei prossimi 18 mesi il continente leader nella produzione. Quello del governo Draghi è un nuovo asset industriale che può creare nuovi posti di lavoro di qualità e riportare in Italia quella filiera chimico-farmaceutica che è stata fino agli anni Ottanta un nostro fiore all’occhiello. L’obiettivo del governo Draghi è avere «300 mila vaccinazioni al giorno per poi salire a 500 mila». Significa essere vaccinati entro la fine dell’estate. Per mettere a regime il piano vaccini (una volta arrivate le dosi), saranno messi in campo medici di famiglia (per i vaccini senza richiamo). Un numero unico per le prenotazioni, una piattaforma digitale per guidare i cittadini, una rete di strutture già esistenti (fiere, cinema, palasport) dove creare i centri per le vaccinazioni. Una logistica che non prevede i tendoni con le primule lanciati da Arcuri e dal Conte 2.

“Sconfiggere la pandemia” sarà il cuore del discorso per la fiducia. Le altre parole chiave saranno “investimenti” legati alle riforme pilastro del fisco, della giustizia civile e della Pubblica amministrazione. Cioè tutto il pacchetto Recovery. “Coesione sociale”, cioè l’azzeramento dei vari divari territoriali e dei conflitti Stato-Regione perché “dalla pandemia si può uscire più forti e tutti insieme”. Coesione, soprattutto, tra le forze politiche. Che non a caso Draghi ha voluto, seguendo l’appello del presidente Mattarella, praticamente tutte al governo. L’appello a trovare sintesi e soluzione nell’interesse del paese sarà forte e diretto. Anche a chi non voterà la fiducia. Certo, le prime 48 ore al governo non depongono in favore del successo della mission di Draghi. Il caso sci, l’errore del ministro Speranza (voluto o casuale?), il ritardo nella comunicazione della nuova allerta contagi causa varianti, la solita guerra tra virologi ed epidemiologi, aperturisti e chiusuristi, lockdown subito, lockdown mai più. Salvini che è entrato al governo ma è già ripartito con la propaganda, i distinguo e sta in pressing sui suoi ministri: «Dovete far capire che contiamo». Giorgetti, Garavaglia e Stefani sanno però distinguere tra il mestiere di governare e lo sport di cercare consenso.

Chi sperava di avere davanti un periodo di calma – sono tutti al governo tranne Fratelli d’Italia – resterà quindi deluso. Il governo di unità nazionale non mette in frigorifero le dinamiche parlamentari perché una cosa è governare insieme per necessità, ben diverso è confondersi anche rispetto ai propri elettori. Non mancheranno gli scontri. Anche perché tra pochi mesi, a maggio, ci sarà un’importante tornata elettorale di amministrative con l’elezione di sindaci metropolitani (Roma, Napoli, Torino). Per marcare le differenze pur stando allo stesso tavolo, ieri i capigruppo al Senato di Pd (Marcucci), M5s (Licheri) e Leu (De Petris) hanno creato un intergruppo parlamentare che «a partire dall’esperienza positiva del Governo Conte II, promuova iniziative comuni sulle grandi sfide del Paese, dalla emergenza sanitaria, economica e sociale fino alla transizione ecologica ed alla innovazione digitale. Con questo spirito, da domani, saremo insieme per rilanciare e ricostruire il nostro Paese».

Soddisfatto anche l’ex premier Conte che già in piazza Colonna, davanti al tavolino pieno di microfoni lanciò l’alleanza politica Pd-M5s e Leu. Di cui in qualche modo si sente il leader. Per Zingaretti è una mossa quasi obbligata per provare a dare cemento al progetto politico del Conte 2 (che Zingaretti in realtà aveva subito), non buttare a mare le alleanze per le amministrative e buttare fuori una volta per tutte dal perimetro del Pd Matteo Renzi e Italia viva. Nel Pd in realtà il gruppo interparlamentare piace solo ai fedelissimi di Zingaretti e Bettini. Base Riformista, la corrente guidata da Guerini e Lotti è in grande subbuglio. Chiedono il congresso. Zingaretti ha concesso un’assemblea.

Piccole grande manovre anche nel centrodestra. Una volta messo in piedi il governo – chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato – Giovanni Toti scippa tre deputati a Forza Italia, l’area è quella di Mara Carfagna che è ministro per il Sud. Qualcosa si muove anche nella Lega perché i governatori hanno fatto capire a Salvini che al governo ci si sta per fare le cose. I 5 Stelle sono in eterno movimento. È possibile che oggi una ventina di loro non votino la fiducia. Non ci saranno però espulsioni. E per le scissioni c’è sempre tempo visto che nessuno di loro vuole interrompere la legislatura. Draghi è un cerotto potente che prova a tenerli tutti insieme. Non vuole certo limitare le legittime diversità. Chiede però un tempo neutro per curare il paese.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.