«Impresa ardua» quella di rintracciare «un filo rosso» nella pluridecennale esperienza del Mulino, certamente la rivista di cultura politica più importante di questo paese. Paolo Pombeni – che ne è l’attuale direttore – pur consapevole di questa difficoltà, non si è tirato indietro dalla sfida e ha scritto una densa introduzione, un vero manuale critico di storia contemporanea: il bellissimo e-book (presto sarà anche una pubblicazione) “Macinare la Prima Repubblica – Il Mulino e l’evoluzione del sistema politico italiano”.

La lunghissima elaborazione, pluralistica ma in un certo senso “unitaria”, della rivista è il frutto di un crogiuolo di culture diverse, diciamo pure tutte le culture repubblicane a vocazione progressista. Così che a uno dei suoi direttori più illustri, Luigi Pedrazzi, bastarono poche parole per darne una definizione esaustiva: «Il Mulino ha costituito un laboratorio – piccolo e modesto finché si vuole, ma operante – dove si è sperimentata la possibilità di un lavoro culturale e pratico comune fra persone che gli schemi correnti avrebbero voluto impegnate in attività concorrenziali e in rigide contrapposizioni».

In questo volume sono contenuti preziosi saggi dell’epoca (il periodo considerato è 1951-1991), accompagnati da puntuali ricostruzioni storiche scritte per l’occasione. Davvero una miniera per chiunque volesse approfondire il dibattito di quattro decenni e, al tempo stesso, ricostruire la storia dei gruppi intellettuali raccolti attorno alla rivista bolognese. Che è una storia ricchissima, dominata da intellettuali di grande prestigio. A partire da Nicola Matteucci attorno al quale, nel ’51, si raggruppò la prima squadra dei “mugnai”.

In una seconda stagione, forse la più esaltante dal punto di vista intellettuale, la rivista bolognese si cimentò con la grande trasformazione neocapitalista e l’apertura a sinistra del primo centrosinistra. Seguirà una fase nella quale l’interpretazione fu meno facile, quella del gran miscuglio tra spinte di destra e di sinistra che sfocerà nella stagione dell’incontro tra Dc e Pci; e poi ancora un altro grande momento di forte analisi in vista del crollo della Prima Repubblica. I “mugnai” analizzavano, criticavano, proponevano, modellando una propria identità che non divenne mai “partito” e neppure “fiancheggiatrice” di questa o quella forza politica.

L’elenco degli animatori e collaboratori del Mulino è troppo sterminato per darne conto, per cui qui faremo solo tre nomi di altrettanti illustri intellettuali purtroppo scomparsi: Pietro Scoppola, Roberto Ruffilli (trucidato dalle Br) ed Edmondo Berselli. Nel leggere, o rileggere, saggi di tanti anni fa colpisce non solo la profondità delle analisi ma soprattutto la chiaroveggenza di certe riflessioni, giacché in quei saggi del Mulino si trovano intuizioni che precorsero i tempi. Eccone alcuni esempi. Nel settembre 1977, nel pieno della solidarietà nazionale, Pietro Scoppola collegava la “questione democristiana” alle intese programmatiche maturate attorno al governo Andreotti.

Scrive Pombeni che Scoppola sosteneva «l’idea di una evoluzione della prima intesa di emergenza del 1976 in una forma più solida: il che comportava però a suo parere una revisione identitaria di ambedue i principali protagonisti». E dunque «l’intesa, in quest’ottica, non avrebbe portato a una consociazione permanente, quanto piuttosto avrebbe prodotto una legittimazione del Pci come forza di governo, capace di nutrire una dialettica politica più articolata in futuro». Insomma, come si è definitivamente capito tanti anni dopo, Aldo Moro puntava a creare le condizioni di un maturo bipolarismo, forse in modo a lui più chiaro di quanto non fosse a Berlinguer.

Un’altra intuizione moderna si deve a Roberto Ruffilli, che nel 1984 – quasi 10 anni prima di Tangentopoli – vedeva già «una crisi che chiamerei di potere, giacché l’area lasciata scoperta dalle istituzioni statali e dai partiti tende ormai a essere occupata o dal “governo” del presidente della Repubblica, o dal “governo” dei giudici o dal “governo” dei vertici dei gruppi d’interesse maggiormente organizzati». In effetti il gruppo del Mulino fu uno dei primi “laboratori” in cui si discusse di grandi riforme istituzionali (e in un certo senso fu un laboratorio importante per la stagione referendaria dei primi anni Novanta).

Ed ecco come, magistralmente, Edmondo Berselli nel 1991 mette a fuoco quel momento storico: «Un’atmosfera da ultima spiaggia si è diffusa nel nostro paese. È stata stupefacente e brutale la rapidità con cui la tendenza generale si è rovesciata. Il passaggio dal clima di festa collettiva degli anni Ottanta ai poveri saldi di fine stagione dei Novanta ha fatto mozzare il fiato, e ha riportato in primo piano il plumbeo clima dei tempi della stagnazione». Che chiarezza! Già, il faro intellettuale del Mulino è sempre rimasto acceso a fare luce sull’Italia che cambia e al tempo stesso pare non cambiare mai.