“Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”. Questo è l’incipit dell’articolo 25 della Costituzione. E l’articolo 25, insieme all’articolo 111, è uno dei pilastri dello stato di diritto. Bene. a Roma questo articolo della Costituzione non è conosciuto. O forse è conosciuto ma è considerato ingombrante. Comunque non è applicato. Cosa succede a Roma? Che c’è una disposizione presa di comune accordo dal Presidente del tribunale e dal Presidente della Corte d’Appello – e approvata poi anche dal Csm – in base alla quale il Pubblico Ministero ha il diritto di chiedere l’assegnazione del processo a una sezione penale e a un collegio, e dunque a un giudice, di suo gradimento. Ora sembra che questo metodo venga applicato con una certa frequenza. Cioè, cosa succede? Che il Pm conclude le indagini, chiede il rinvio a giudizio e poi chiede che il giudizio sia affidato a un magistrato di proprio gradimento.

È avvenuto recentemente in un processo nel quale il Pm era piuttosto noto, Stefano Fava (il suo nome è stato portato sui giornali soprattutto dal caso Palamara). Anche l’imputato era piuttosto noto: Stefano Ricucci. Cosa ha fatto il Pm? Ha chiesto al Gip di affidare il giudizio alla seconda sezione penale del tribunale di Roma collegio numero 1. Il Gip ha accolto solo in parte la richiesta di Fava, perché ha assegnato il processo alla seconda sezione ma al terzo collegio. Il Presidente del primo Collegio era la dottoressa Anna Maria Pazienza, e il Presidente del terzo collegio era la dottoressa Anna Maria Pazienza. Dunque il Gip ha formalmente non accolto la richiesta del Pm, ma nella sostanza la ha accolta. Ha commesso una irregolarità? C’è stata qualche violazione di legge o di regole? Ci sono dei sospetti sull’imparzialità della dottoressa Pazienza? No: tutto regolarissimo, perché Pm e Gip hanno agito rispettando le indicazioni del Tribunale e della Corte d’Appello e perché la dottoressa Pazienza è sempre stata considerata una ottima giudice. Non è scandaloso il loro comportamento, è scandaloso che esista questa circolare.

Gli avvocati di Ricucci hanno chiesto ad una avvocata molto nota, Barbara Randazzo e a un luminare del diritto come il professor Valerio Onida (che è stato presidente della Corte Costituzionale) di esprimere un parere su questa vicenda. Onida e Randazzo, hanno studiato bene la questione e hanno presentato una memoria molto dettagliata nella quale citano diverse sentenze della Corte Costituzionale e si richiamano anche al diritto europeo. La conclusione non lascia spazio a dubbi. Ricopio qui solo una frase breve scritta in questo parere: «È evidente che la scelta, da parte della Procura, della sezione o del collegio giudicante cui assegnare il processo getta un’ombra sulla necessaria imparzialità-terzietà dell’ufficio giudicante, che non solo deve essere ma deve anche apparire imparziale e terzo, secondo l’adagio inglese “justice must not only be done, it must also bee seem to be done”, espressione di frequente utilizzata dalla giurisprudenza europea. Insomma, viene pregiudicata quella equidistanza del giudice dalle parti del singolo processo… facendo correre il rischio al giudice di apparire come un alleato di una delle parti, nella specie la Procura…».

Così stanno le cose. Quantomeno a Roma – e Roma è la Procura più importante d’Italia – la Costituzione non ha valore, la difesa vede lesi tutti i suoi diritti, i Pm hanno anche formalmente il diritto di scegliersi il giudice, ed è francamente abbastanza probabile che lo scelgano in modo da avere buone possibilità di vincere il processo. Diciamo che a Roma l’amministrazione della giustizia avviene in una condizione di illegalità che danneggia gli imputati. Tutto questo, naturalmente, riporta in primo piano la questione della separazione delle carriere dei magistrati. Della quale si discute anche in Parlamento da qualche giorno, ma che è ferocemente osteggiata dal partito dei Pm. Si capisce anche il perché. Con il sistema attuale i Pm hanno in mano moltissimi strumenti per condizionare o addirittura sottomettere i giudici. Il caso Palamara ci ha fatto vedere come le carriere dei giudici siano interamente nelle mani della lobby dei Pm, che controlla l’Anm – vero centro del potere in Italia – e controlla il Csm. Ora scopriamo addirittura che i Pm possono scegliersi i giudici.

Provate a immaginare di essere imputati, di trovarvi di fronte a un Pm che non tiene conto di tutti gli argomenti difensivi che gli portate, e di sapere poi che andrete a giudizio e che il giudice è scelto dal Pm ed è un suo amico. Cosa pensate? E qual è la possibilità, in queste condizioni, di far vivere uno Stato di diritto? C’è un giudice a Berlino? Beh, forse sì, ma Berlino è molto, molto lontana da Roma. In genere qui da noi, quando si ha l’impressione che siano in corso degli avvenimenti che ledono lo Stato di diritto, si parla di Sudamerica, o più precisamente – negli ultimi anni – di Venezuela. Io credo che neppure in Venezuela accadano cose del genere. L’imputato in queste condizioni non è più un cittadino, non ha diritti, non può difendersi con la Costituzione. È un oggetto in mano alla Procura. Può sperare solo nell’estrema onestà personale di un Pm o di un giudice. Può appellarsi alla clemenza della Corte.

Va bene così? Facciamo finta di essere ancora il paese, non dico di Beccaria, ma di Calamandrei, di Leone, di Gullo, di Moro, di Vassalli? No, non scherziamo: siamo tornati ad essere un paese nel quale il Diritto è una variabile dipendente del potere della magistratura. Tutto il lavoro dei costituenti è stato inutile. La Giustizia vive in un sistema di completa illegalità. Quasi quasi è meglio il Venezuela

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.