Ha diviso la sua lunga e importante vita pubblica tra magistratura (è stato giudice istruttore, fino al 1977, a Torino, negli anni di piombo), università e politica. Parlamentare dal 1979 al 2008, è stato presidente della Camera dei deputati dal maggio 1996 al maggio 2001, e prim’ancora presidente della commissione parlamentare Antimafia dal 1979 al 2008. Presidenzialismo, giustizia, riforma elettorale, guerra, la marea astensionista, una classe politica autoreferenziale… La parola a Luciano Violante. Su cose serie.
“Il Presidenzialismo irrompe nella campagna elettorale. Tra i partiti molte randellate e poche idee”. Così titolava in prima pagina Il Riformista dopo la bagarre scatenata da Berlusconi. Lei come la vede, presidente Violante?
Il conflitto fa parte della campagna elettorale; l’importante è che si rispettino le istituzioni e si finisca la sera del 25 settembre. Dare stabilità al sistema è un obbiettivo da condividere. Dubito che il presidenzialismo sia la risposta giusta, perché bisognerebbe riscrivere metà Costituzione e perché di per sé non garantisce la stabilità. Infatti tanto Biden, con sistema presidenziale, quanto Macron, con sistema semipresidenziale, stanno attraversando gravi difficoltà.
Per una forza che si considera progressista, il Pd, è sufficiente trincerarsi sulla difesa dell’esistente, sperando che basta gridare contro i tentativi costituzionalmente “eversivi” di una destra con la fiamma nel suo simbolo, per recuperare consensi?
Come ho già detto, il conflitto fa parte della campagna elettorale. In ogni caso gli avversari si criticano per quello che fanno o che hanno fatto o che si propongono di fare, non per quello che sono. In ogni caso questo tipo di conflitto deve finire la sera del 25 settembre.
Il 25 settembre si andrà a votare con la peggiore legge elettorale della storia repubblicana, con l’aggravante della riduzione dei parlamentari, con tutti i problemi di rappresentanza dei territori che porta con sé. Non è questa una grave responsabilità ascrivibile al Parlamento uscente e alle forze politiche?
Non si può dire che il Parlamento sia stato con le mani in mano; ciascun pezzo della società italiana ha richiesto leggi per sé, poi ci sono stati i problemi di carattere generale e l’esecuzione del Pnrr che ha occupato gran parte del tempo. L’ultima parte della legislatura ha dato preminenza assoluta alle questioni economiche, come probabilmente era necessario. Per evitare le difficoltà che ci saranno nella prossima legislatura, il Pd aveva presentato un’ottima e semplice proposta costituzionale fondata sulla sfiducia costruttiva e sul Parlamento in seduta comune per votare fiducia, legge di bilancio e leggi costituzionali. Le circostanze e le emergenze non ne hanno consentito l’esame. Io credo che sia una proposta da riprendere in campagna elettorale e subito dopo.
Campo largo, campo aperto. Campo minato. Calenda che rompe con Letta una manciata di giorni dopo aver sottoscritto un patto politico. Il segretario dem che l’accusa di tradimento. E ambedue che s’intestano la cosiddetta “Agenda Draghi”. E solo un problema di ego iper trofici e perché nel centrosinistra il gioco di squadra è impraticabile?
Giuseppe Conte, che è stato un buon presidente del Consiglio, non ha resistito all’ala oltranzista del suo partito. Carlo Calenda, che è stato un buon ministro, non ha resistito al fascino del poter diventare determinante. Essere leader politici è un compito difficile, faticoso, poco gratificante e dall’esito incerto. Non ci si inventa leader sui social. Il lavoro serio e profondo di Enrico Letta va apprezzato e rispettato.
Metà degli italiani non sanno ancora se andranno a votare; una parte si dice disgustata dalla politica. Un fenomeno che riguarda soprattutto i giovani. È una faglia insanabile?
Il tema riguarda la difficoltà delle democrazie, non solo in Italia. Da tempo in molti paesi occidentali, Stati Uniti compresi, la democrazia attraversa fasi di difficoltà e di regressione. Le democrazie sono frutto della intelligenza, della ragione, del senso del limite e del coraggio del popolo e della classe politica dirigente. Quando una o più di una di queste doti mancano, si verificano difficoltà. I primi a soffrirne sono le generazioni più giovani. Una forma di miopia ha considerato le politiche giovanili come l’ultima ruota del carro, una sorta di appendice trascurabile dei programmi di governo. Un’agenda della sinistra dovrebbe metterle ai primi posti. Così si darebbe nuova linfa alla democrazia.
Una parte della politologia continua a sostenere che si vince conquistando il centro. Ma le elezioni americane, come il voto francese, solo per fare due esempi, non confutano questa tesi?
Queste tecnologie elettorali mi appassionano poco. Le elezioni non sono un gioco dove si stabilisce chi vince e il giorno dopo i perdenti pensano subito dopo a costruire un’altra occasione elettorali per rifarsi. Non si tratta del campionato di calcio. Si vota per decidere chi governa. E chi vuole governare deve convincere milioni di persone a sceglierlo sulla base della sua credibilità e della realizzabilità delle sue proposte. Il centro in questo quadro è di chi non sta da nessuna parte ma vuole stare da tutte le parti.
Queste elezioni, con relativa campagna elettorale, avvengono mentre la guerra continua a scuotere una parte dell’Europa, con ricadute che riguardano l’intero continente. Eppure la guerra sembra non entrare nel dibattito politico. Siamo fuori dal mondo?
Da sempre si vota sulla politica interna, non sulla politica estera. Piuttosto, anche per ragioni di politica interna, bisognerebbe prestare più attenzione alla internazionale illiberale che si sta formando nel mondo occidentale; è razzista, autoritaria e con un preoccupante miscuglio di violenza e immagini sacre. I leader principali sono Putin, Trump, Orban, con schiere crescenti di seguaci in tutti i paesi occidentali. Hanno risorse economiche e si avvalgono molto delle fake.
Si dice che per avere il termometro dello stato di salute di un Paese, devi visitare un ospedale, una scuola, un carcere. Salute, istruzione, giustizia. Non dovrebbero essere tre capitoli fondamentali in un’agenda di cambiamento?
Certamente, ma le questioni che lei ha indicato non hanno pari gravità. La sanità pubblica, nella media funziona. Drammatiche sono le condizioni di molte carceri. È decisivo restituire dignità sociale agli insegnanti. La scomparsa dei corpi sociali intermedi, la riduzione del ruolo aggregante della religione, una certa deresponsabilizzazione delle famiglie hanno lasciato ai soli insegnanti, dalle elementari alle superiori, il compito formativo prima svolto da famiglie, partiti, sindacati, associazioni di vario genere. Gli insegnanti hanno il compito di trasmettere alle generazioni più giovani, oltre alle nozioni, i valori della nostra società, in modo che non si interrompa il flusso delle conoscenze e delle appartenenze. Ma oggi, anche per via delle basse retribuzioni, sono privati dell’ autorevolezza necessaria proprio da quella società i cui valori sono chiamati a trasmettere. Ricostituire il ruolo sociale ed economico degli insegnanti è la prima pietra di una nuova moderna idea di democrazia.
La giustizia, un tema a lei caro. Una riforma, quella Cartabia, incompiuta. Cosa si augura per la prossima legislatura?
Mi auguro che siano attuati sino in fondo i decreti Cartabia e che si ridiscuta lo statuto professionale dei magistrati riformando la governance della magistratura, Csm, capi degli Uffici, Ministero della Giustizia.
Lei è stato Presidente della Camera. Dal suo “scranno” ha potuto “misurare” la statura politica dei rappresentanti del popolo. Oggi se non siamo al “nanismo” politico-parlamentare poco ci manca. È una considerazione troppo dura?
La generazione degli attuali cinquantenni andava alle elementari quando è stato assassinato Moro e quando una parte della politica, della società, del giornalismo, della magistratura, delle forze di polizia rischiava la vita nella lotta contro il terrorismo. Andava all’Università al tempo delle stragi di Palermo, quando gli stessi di prima combattevano contro la mafia. Poi c’è stata Tangentopoli e i suoi disastri. Negli anni della propria crescita umana e intellettuale questa generazione ha visto nella politica litigi, sotterfugi, inseguimento del sondaggio e dell’applauso. E non hanno avuto modo di vedere, perché nessuno gliel’ ha mostrata, la faccia onesta della politica, quella dello studio e della fatica del confronto, che non si scopre guardando in continuazione il telefonino. È una generazione senza maestri, di autodidatti, con i pregi e i difetti di questa condizione. In ogni caso i parlamentari, direttamente o indirettamente, sono scelti dalla società civile e ne rispecchiano i caratteri prevalenti.
Autorevoli politologi mettono l’accento sull’incapacità dei partiti a svolgere quella funzione di selettori di una classe dirigente che hanno avuto nel dopoguerra e nella prima Repubblica. Chi fa osservazioni del genere è un “nostalgico” del tempo che fu o c’è una verità storica in questa considerazione?
L’educazione politica si trasmette soprattutto con l’esempio. Gli esempi non sono stati sempre positivi.
Pier Luigi Bersani, Luigi Zanda, Barbara Pollastrini, Cesare Damiano, Roberta Pinotti hanno annunciato di non volersi ricandidare. Altri, e non pochi, della “vecchia guardia” continuano a “sgomitare” con tanto di maratone ferragostane per chiudere le liste. Le chiedo: è così difficile fare un passo indietro?
Sono personalità degne di stima. Questi passi vanno preparati per tempo. Ci si fa un sincero autointerrogatorio e se si scopre che non si è più utili in Parlamento, ci si dedica altro. Per me, almeno, è stato così.
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