In Sicilia, in Abruzzo e in Friuli, le Regioni stanno eseguendo i vaccini negli istituti di pena, sia per il personale che per i detenuti. In Campania, allo stato, non si hanno notizie nemmeno di un’organizzazione finalizzata a tale iniziativa. Eppure, nel solo carcere di Carinola, vi sono stati, in pochi giorni, ben tre decessi per Covid tra gli agenti della polizia penitenziaria. L’emergenza sanitaria che ha colpito, ormai da un anno, il nostro Paese sta mietendo vittime, com’era più che prevedibile e come più volte denunciato dall’Unione Camere Penali Italiane, anche in carcere. Dove la parola “emergenza” era ed è pronunciata, da sempre, per molteplici aspetti della vita quotidiana: non solo quello sanitario, ma anche quello igienico, trattamentale, lavorativo, educativo, mentre l’unico reale interesse era ed è quello della sicurezza.

I detenuti morti sono stati, nel 2020, 154. Era da dieci anni che non si raggiungeva una cifra così alta, pari a circa un morto ogni due giorni. Gli ultimi dati forniti dal Ministero della Giustizia sul numero dei contagiati fanno prevedere un aggravamento della situazione, se non s’interviene immediatamente con i vaccini e con idonee misure per diminuire il sovraffollamento. Al primo marzo i positivi erano 410 tra i detenuti, 562 tra il personale della polizia penitenziaria e 49 tra gli amministrativi. Oltre mille persone, costrette a vivere, nella maggior parte dei casi, in situazioni dove non è semplice rispettare il distanziamento, parzialmente possibile solo se si sacrificano fondamentali ed essenziali diritti dei detenuti come i colloqui con i familiari e le attività trattamentali. I primi passi mossi dalla neo-ministra della Giustizia Marta Cartabia sono importanti perché dimostrano una concreta volontà d’intervenire per affrontare l’emergenza e per tentare quella “svolta” costituzionalmente orientata, nell’esecuzione delle pene, per la quale i tempi non saranno brevi, ma è pur necessario cominciare. L’emergenza, invece, non può attendere.

L’aver varcato prima la soglia dell’ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e poi quella della sede del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è una scelta simbolica di grande rilievo. Cartabia ha mostrato finalmente interesse per un “mondo dimenticato” e ci sono tutti i presupposti per la pianificazione di quella “rivoluzione culturale” che, all’epoca degli Stati generali dell’esecuzione penale e della mai attuata riforma dell’ordinamento penitenziario, fu sbandierata a livello ministeriale ma ben presto ammainata. A 73 anni dalla nascita della Costituzione, senza che i suoi principi fossero applicati all’esecuzione penale, possiamo attendere che la guardasigilli prenda il tempo che riterrà utile per raggiungere l’obiettivo che sappiamo esserle caro, ma sono necessarie misure urgenti per diminuire il sovraffollamento, per consentire la stessa sopravvivenza dei detenuti e di chi nel carcere ci lavora.

Unitamente a tali provvedimenti, è essenziale intervenire con i vaccini e bene ha fatto Cartabia a spronare le amministrazioni locali perché, sono parole sue, «proteggersi dal virus è indispensabile ed è urgente che le vaccinazioni nelle carceri proseguano velocemente». Ci auguriamo che questo autorevole invito sia raccolto anche in Campania, dove il Garante regionale dei diritti dei detenuti lancia quotidiani allarmi sulla situazione degli istituti di pena del territorio, senza che vengano prese adeguate iniziative per la tutela delle persone ristrette e dei lavoratori. E dove il Garante della città di Napoli ha dichiarato di non aver mai incontrato il sindaco dal giorno della sua nomina, datata dicembre 2019.