Margherita Boniver, socialista transitata dal Psi a Forza Italia, è stata tre volte deputata e due senatrice. Ha preso parte a tre voti presidenziali e dopo aver letto la ricostruzione di Achille Occhetto sulla brama quirinalizia di Craxi, puntualizza il suo ricordo delle ultime tornate presidenziali.

Boniver protesta: Occhetto confonderebbe. Ci racconta?
Occhetto, mosso da non so quale risentimento, vuole far passare l’idea che i socialisti erano loschi e scorretti mestatori. E che alle elezioni ponte tra prima e seconda Repubblica, quando venne eletto Scalfaro, Bettino Craxi provò fino all’ultimo a far votare il suo nome. Tutto falso. Craxi non si è mai autocandidato.

E come andò?
Era il 1992, il candidato concordato dal pentapartito era Arnaldo Forlani. Venne impallinato dai veti incrociati dei democristiani. E i socialisti capirono. Dopodiché era estremamente difficile trovare un nome autorevole: quello di Andreotti fu abbandonato sul nascere. Il clima era particolarissimo, c’era l’eco della strage di Capaci. Si votò per una settimana intera, Scalfaro venne eletto al sedicesimo scrutinio.

Chi lo propose?
Il più laico di tutti: Marco Pannella. Non so per quale ispirazione iniziò a proporre a Bettino Craxi, con una telefonata, di votare il cattolico Scalfaro. Con motivazioni tali da convincere Craxi che mettere un giurista come Scalfaro sullo scranno del massimo garante della Costituzione avrebbe garantito le istituzioni, le avrebbe messe in sicurezza davanti a quel terremoto che avanzava.

E Craxi accettò.
Era stato un valido ministro degli Interni nel governo Craxi. Poi si rivelò terrificante dal punto di vista politico.

Addirittura terrificante?
Furono due anni in cui si concessero alla magistratura tutti gli eccessi che oggi conosciamo, si visse in uno stato di eccezione permanente. Fino allo scioglimento delle Camere nel 1994, benché la maggioranza avesse tutti i numeri. Una forzatura che aprì le porte del Parlamento a quella deriva giudiziaria che portò alla ghigliottina italiana: vennero decapitati tutti i partiti. Con Scalfaro avviene la presa di potere delle toghe che per la prima volta si sostituiscono al potere democraticamente eletto.

C’erano altri candidati nello schieramento laico?
Valiani e Spadolini, tra i grandi nomi di cui si parlava. Ma ci fu una chiusura soprattutto da parte del Pds che aveva capito una cosa: cavalcando sapientemente una certa corrente, si poteva far fuori il pentapartito in blocco. E l’operazione sarebbe meglio riuscita se a far calare il sipario sulla storia fosse stato un democristiano. Naturalmente il più amico dei magistrati tra i democristiani.

Saltiamo Ciampi per andare a Napolitano. Un voto che la vide protagonista di una ribellione.
Sì, perché io votai Napolitano dall’inizio andando contro le indicazioni del mio partito. Perché ero stata responsabile esteri del Psi e lui del Pci. Ci eravamo conosciuti ed avevamo collaborato in tante di quelle occasioni, con un clima di fiducia e di stima reciproche, che non avrei potuto non votarlo. Anche schierandomi apertamente contro l’indicazione di Berlusconi.

Che oggi è ufficialmente candidato.
Penso che alle prime tre chiame gli si rivolgerà un tributo, un omaggio che gli è dovuto. Dalla quarta in poi si cercherà la convergenza su altri nomi. Lui è l’unico candidato ufficiale, ma conosco personalmente una cinquantina di aspiranti quirinalizi. Nei salotti romani, all’ombra dei convegni, è tutto un giocare sul toto nomi, come mai avevo visto fare prima. Un gioco grottesco, destinato più a confondere le acque che a determinare una soluzione. Certo è che non avevo mai visto nel dibattito pubblico una tale attenzione al Quirinale.

Tanto da dare quasi ragione a Giorgetti, siamo al presidenzialismo di fatto?
Può esserci una spinta in questo senso. Ma i riflettori puntati sul Colle sono dovuti all’incertezza, viviamo in un momento emergenziale. Non ci si illuda che il nome che uscirà significherà una chiamata al voto. Io non lo penso, non è così automatico. Chi è che va al Colle e come primo atto scioglie la legislatura?

E l’ipotesi Draghi al Quirinale, magari in ticket con Franco a Palazzo Chigi?
Draghi sta facendo un lavoro prezioso, preciso e puntuale sul Pnrr. E su dossier e riforme cruciali. Chiunque andrà al Quirinale dovrebbe piuttosto chiedergli di rimanere fino a fine legislatura.

E poi dall’anomalia del governo tecnico bisogna tornare alla politica…
Siamo l’unica democrazia commissariata dalla banca centrale: Dini, Ciampi, Draghi. Tutto bene ma adesso si torni alla politica e al gioco democratico, per favore. Oppure si decida di spostare a via Nazionale la sede del governo, direttamente.

Ci vuole quindi al Quirinale un Presidente che sappia consolidare l’asse con Mario Draghi e con l’Europa?
Io un nome ce l’ho. Quello della seconda carica dello Stato, la presidente del Senato Elisabetta Casellati che raccoglie grande stima super partes, ha una grande esperienza ed è una donna di grande equilibrio, una avvocata garantista. E come si vede dai numeri, tocca al centrodestra esprimere un nome su cui convergere.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.