Tra sorrisi, battute e la logica empirica di chi maneggia con sicurezza i dossier, Mario Draghi porge la mano a Salvini, una spalla a Giorgetti e sembra sminare il campo avvelenato della Lega. E della maggioranza. Quindi, ad esempio, la riforma del catasto si farà «ma saranno modifiche solo informative» così da escludere nuove tasse sulla casa. Per Quota 100, si vedrà, c’è ancora tempo, «ne parleremo in legge di Bilancio. È chiaro che sono da rivedere alcune cose, così come in altri provvedimenti ma ne parleremo nelle prossime conferenze stampa, avremo tempo, non possiamo mica fare tutto insieme?».

Come sta il governo Draghi dopo una settimana di montagne russe in cui il Presidente del Consiglio è stato “messo” ovunque tra Quirinale, palazzo Chigi ma anche in mezzo al guado condannato ad un lento e progressivo logoramento? Bene a giudicare dal clima in consiglio dei ministri, dai numeri della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza approvata ieri mattina che disegnano una ripresa esplosiva, e dal fatto che, dice Draghi in conferenza stampa «se dovessi parlare con un ipotetico investitore interessato all’Italia gli dimostrerei che finora almeno questo governo non ha sbagliato una data di quelle previste dal cronoprogramma del Pnrr. E che quindi può avere fiducia nell’Italia». È chiaro che poi non va tutto così bene, che non è tutto rose e fiori, che la frattura tra la Lega di governo e del pil (Giorgetti, ministri e governatori) e quella di lotta – Salvini e le sue crociate contro chiusure, green pass, obbligo di vaccini e immigrati– è arrivata al redde rationem. Che, anche, il rischio di un Papeete 2 «contro Giorgetti che s’è messo in testa di fare come Fini a suo tempo con Berlusconi» è un’ipotesi tornata possibile dopo le amministrative. Su tutto questo poi è arrivato il fango dell’indagine su Morisi, la droga, il sarcasmo sulla “Bestia” colpita con le sue stesse armi e il sospetto terribile che siano stati proprio ambienti vicini alla Lega i propalatori dell’esistenza dell’indagine.

Ma rispetto ad un quadro che nelle ultime 72 ore si è molto complicato, ieri Mario Draghi ha voluto dare una mano per ristabilire un minimo di pace nella maggioranza. Si era capito dalla cabina di regia di martedì quando il consiglio dei ministri economico con in agenda Nadef, delega fiscale e decreto fiscale era stato semplificato e spogliato delle parti più divisive come la delega fiscale appunto. Se ne è avuta conferma ieri quando il premier è stato molto attento a non dire una parola che potesse mettere in difficoltà qualcuna delle parti della larga maggioranza. E tantomeno esporre se stesso a qualche strumentalizzazione. Presidente, i fatti delle ultime ore la fanno sentire a fine corsa? In partenza magari per il Quirinale? è stata una delle prime domande in conferenza stampa. «Questa domanda viene posta praticamente ogni ora. Magari non a me direttamente e comunque … come ho sempre detto ogni volta che me l’avete fatta, a me pare offensivo parlare della Presidenza della Repubblica. Ciò detto, ribadisco che questa domanda dovete rivolgerla al Parlamento. Una cosa però voglio dire: questo governo non si consuma per restare».

Gelata ogni velleità giornalistica di sfrucugliare su scenari quirinalizi e sulla tenuta del governo, i fatti e i numeri vanno nella direzione di un esecutivo che sta lavorando «secondo la tabella di marcia prevista», che ha creato i presupposti «anche grazie alle vaccinazioni e alle misure messe in campo» per una crescita “robusta” che si basa su una forte credibilità. Crescita e credibilità, due facce della stessa medaglia. Salvini non potrebbe mai lasciare una maggioranza e un governo che segna +6% di pil (la stima in primavera era 4,5%), un + 15,5% negli investimenti, maggiori entrate grazie alle tasse e minori spese, un deficit che scende dall’11,8 al 9,4% e il rapporto debito/pil al 153,5% contro il previsto 159,8%. Un paese che nel 2022 crescerà del 4,7%, nel 2023 del 2,8% e nel 2024 dell’1,9%. A chi ha provato a storcere la bocca dicendo che «1,9 è poco, vuol dire tornare a dove eravamo prima della pandemia», il ministro economico Daniele Franco ha ricordato che la media della crescita nell’ultimo quarto di secolo in Italia è stata intorno allo 0,4-0,5% del pil. Una crescita «equa, sostenibile e che deve diventare strutturale» macchiata però da quella che ormai è una “strage quotidiana”, quella delle morti sul lavoro. Ha cominciato da qui Draghi, nominando uno per uno le vittime annunciando «pene severe e provvedimenti immediati».

Il documento di programmazione economica lungo 157 pagine, antipasto di quella che sarà la legge di Bilancio che arriverà entro metà ottobre, alla fine ha soddisfatto tutte le forze di maggioranza. Ciascuno ha potuto rivendicare qualcosa. Certo, tutto ora dipende da come proseguirà la realizzazione del Pnrr. Nonostante Draghi dica che tutti gli obiettivi procedono secondo la tabella di marcia, «poiché non ci sono e neppure vogliamo avere ritardi», la prossima settimana sarà convocata la cabina di regia del Pnrr. Per evitare rischi di immobilismo. Sempre nel ruolo di sminatore, il premier ha spiegato che «il rinvio alla prossima settimana della delega fiscale non è dovuta ai partiti politici (e ai loro veti incrociati, ndr) ma al fatto che abbiamo molto da fare». C’è come sempre molta attesa per l’annunciata riforma del fisco e relativo taglio delle tasse (i cui effetti saranno visibili da gennaio 2023). È il cavallo di battaglia del centrodestra. Oltre al nodo catasto, sarà da capire come usare il Fondo speciale di 4,3 miliardi (più soldi grazie a maggiori entrate) «destinato al finanziamento di interventi di riduzione della pressione fiscale soprattutto per i contribuenti onesti».

Il ministro Gelmini ha fatto capire che «saranno seguite le indicazioni contenute nella proposta di riforma approvata all’unanimità dalla commissione Finanze di Camera e Senato». In quelle pagine non c’è la riforma del catasto. C’è invece il taglio dell’Irap. Da solo vale 3 miliardi. Anche questo è un modo per sminare il campo. E comunque se ne riparla dopo le elezioni. Un’altra “carezza” al centrodestra – e non solo – è arrivata quando Draghi ha definito “irrealistico” pensare che le regole del Patto di stabilità europeo (ora sospeso) restino le stesse dopo la pandemia e la più grande recessione nella storia della Ue. L’agenda Draghi è fitta di appuntamenti. Nell’immediato e nel futuro. Un vasto programma. Il governo ha proposto Roma come sede di Expo 2030. Dopo che nel 2025 ci sarà il Giubileo. Certo, tutte cose che può fare anche dal Quirinale. Ma da palazzo Chigi gli vengono sicuramente meglio.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.