“Una sinistra che guarda al futuro non può essere imbrigliata in polemiche retrò, che forse danno un po’ di visibilità mediatica ai protagonisti ma che nulla hanno da dire al Paese reale”. A sostenerlo è Matteo Orfini, parlamentare dem, già presidente del PD dal giugno 2014 al marzo 2019.

Nel centrosinistra sembra andar di moda il gioco del dottore. Inizia Massimo D’Alema che negli auguri dell’ultimo dell’anno di Articolo I indossa, metaforicamente, il camice bianco e diagnostica che la fase renziana del Partito democratico è come “una malattia che fortunatamente è guarita da sola”. Il giorno dopo, ecco il “dottor Letta” rispondergli a tono: “Il PD da quando è nato, 14 anni fa, è l’unica grande casa dei democratici e progressisti italiani. Nessuna malattia – assicura Letta – e quindi nessuna guarigione…”. Come la mettiamo?
Tutto serve al Partito democratico e al Paese tranne cominciare l’anno discutendo sul passato tra due persone che peraltro dal PD sono uscite, sbagliando. Io ho cominciato quest’anno come ho chiuso quello precedente, lunedì ero nelle periferie romane, oggi (ieri per chi legge, ndr) avevamo una discussione su come riaprire la scuola in sicurezza. Il Paese sta vivendo una fase drammatica e noi stiamo discutendo di una roba, lo scontro tra D’Alema e Renzi, che non ha alcuna attinenza con quello che vive l’Italia. Con tutto il rispetto, non interessa me, figuriamoci chi vive in condizioni di grande difficoltà. Noi dovremmo semmai discutere del futuro e non continuare a litigare sul passato. Il tema è come si ricostruisce una visione di sinistra in uscita da una pandemia che ha cambiato il mondo. Noi semmai dovremmo dividerci su questo, sul futuro, e non ancora stare a fare una discussione che forse interessa solo i protagonisti della lite, perché gli garantisce visibilità, ma non noi.

Esiste oggi e che danni produce, ancora, un conservatorismo di sinistra che cerca certezze guardando al passato?
Noi dobbiamo fare anche uno sforzo creativo e di fantasia per ridefinire il profilo di una sinistra contemporanea. Io vedo nella società tanta sinistra reale. La vedo nelle relazioni e nelle iniziative che si costruiscono nei luoghi più complicati del disagio sociale per far fronte ad esso. Penso alle forme di solidarismo e di auto-organizzazione nei quartieri più difficili delle nostre città. E questo lo si riscontra anche quando si affrontano temi difficili, delicati, come quello delle migrazioni. Quando si costruiscono dal basso azioni come quelle messe in atto dalle Ong salva vita nel Mediterraneo, lì c’è la sinistra reale. Pensiamo anche al nuovo femminismo che è cresciuto nella società, o alle battaglie di tanti lavoratori contro le delocalizzazioni e le chiusure delle fabbriche, che hanno portato, attraverso il conflitto sociale, a dei risultati significativi. La sinistra c’è. C’è nel Paese, si sta manifestando in forme nuove e contemporanee, anche attorno a battaglie storiche. L’idea che tutto questo fatichi a trovare una rappresentanza politica, è oggettivamente un tema. E l’idea che si possa rispondere solo rispolverando il vecchio album di famiglia, o limitandosi a ripetere parole d’ordine del passato, secondo me è una delle ragioni delle difficoltà dei partiti come anche dei sindacati, delle forze organizzate della sinistra ad apparire contemporanee. Se c’è una difficoltà a interpretare una voglia di partecipazione che c’è nelle generazioni più giovani, è anche perché negli strumenti organizzativi, nel lessico, abbiamo ancora gli occhi rivolti al passato, come questa ridicola polemica d’inizio anno dimostra.

Un tema caldissimo è l’elezione del nuovo Capo dello Stato. “Quirinale, il Presidente di cui l’Italia ha bisogno”. È il titolo di un recente editoriale del direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana. Lo chiedo a lei: di quale Presidente della Repubblica l’Italia ha bisogno oggi?
Io vedo una condizione di enorme difficoltà del Paese. Noi stiamo già dentro l’ondata pandemica più forte, quanto al numero dei contagi, che l’Italia ha dovuto affrontare. E aumenterà nelle prossime settimane, producendo uno stress notevole, perché andranno in sofferenza alcuni servizi essenziali, rischia di andare in sofferenza il sistema sanitario nazionale. Vivremo giorni e settimane a venire molto complicate. Peraltro questa situazione sta già producendo un grave danno economico. Penso ad alcuni settori come il turismo, lo spettacolo, la ristorazione, settori che sono stati colpiti pesantemente dalla ripresa della pandemia. Contestualmente c’è una fatica conseguente anche a gestire il Pnrr. Siamo ancora completamente dentro l’emergenza che ha prodotto l’arrivo di Draghi. Fu chiamato Draghi perché c’era da gestire la pandemia e il Pnrr. Sono due cose che stanno ancora sul campo. E questo mi sembra obblighi a tenere Draghi dove sta, in quanto punto di equilibrio più avanzato possibile e più efficace, come sta dimostrando. Non so se è l’unico, ma sicuramente è il migliore che in questo momento possa stare a Palazzo Chigi.
E credo che questa consapevolezza porti con sé anche la necessità, è mia convinzione personale, di non cambiare nulla. In queste settimane e mesi complicatissimi che abbiamo di fronte, ci sono due elementi che garantiscono il Paese. Per gli italiani sapere che c’è Mattarella al Quirinale e Draghi a Palazzo Chigi, sono due luci nel buio di una condizione molto difficile. Io mi guarderei bene dallo spegnerle. Credo che la grande maggioranza degli italiani si sentirebbero più tranquilli sapendo che la situazione rimane quella che è. Capisco che questo è un sacrificio, soprattutto per il presidente Mattarella, però credo che sarebbe la cosa migliore per il Paese.
Valuteremo tutti insieme, Letta a convocato una riunione il 13 e ne parleremo lì, ma se oggi dovessi esprimere il mio auspicio è che al Quirinale resti chi c’è.

A proposito del guardare al futuro. Cosa ne pensa dell’affermazione del ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, che si è detto certo, cito testualmente, che “la “fusione nucleare sarà la soluzione di tutto”? Di questo avviso non è il nostro Premio Nobel per la fisica, il professor Parisi…
Massimo rispetto per le opinioni di tutti, ma sono d’accordo con Parisi. Spesso scattano dei tic del passato che sembrano riportare il dibattito indietro. Da questo punto di vista, penso che il ministro Cingolani potrebbe cimentarsi con più coraggio col il tema dell’innovazione. In questa fase si può fare di più e di meglio. Non ci aiuta un approccio propagandistico più che di discussione vera. Mi ha dato l’impressione di chi voleva lanciare una idea, peraltro abbastanza vecchia, più per polemizzare che per mettere in campo un’azione di governo. Sulla transizione ecologica sono convinto che si possa fare di più di quello che si è fatto in questi anni. Siamo in ritardo, questo è fuori di dubbio, mentre dovremmo stare in un dibattito europeo che sul tema c’è e di cui potremmo essere, anche per nostra storia e tradizione, tra i Paesi più innovativi, invece di andare a inseguire progetti del passato in una visione un po’ arcaica. Tanto più che il nostro Paese ha eccellenze scientifiche di altissimo livello, come dimostra il Nobel per la Fisica assegnato al professor Parisi. Eccellenze che sarebbe giusto e alquanto utile coinvolgere in questa discussione.

Un altro grande tema che la politica sembra aver relegato ai margini, è quello dei migranti. Papa Francesco ha usato parole forti per condannare i respingimenti. Predica nel deserto?
Per fortuna che continua a predicare, almeno lui. Deserto, no. Perché come detto in precedenza, grazie al cielo su questi temi negli anni è cresciuta, almeno nella società, una consapevolezza e anche un’azione che ha avuto degli effetti positivi. Per fare un esempio: oggi nel Mediterraneo non ci sono le navi delle istituzioni a salvare vite ma ci sono più di una decina di navi di Ong, istanze della società che si è auto-organizzata per fare quello che i governi si rifiutano di fare, cioè salvare vite. Anche attraverso battaglie che alcuni di noi hanno condotto in Parlamento, è cresciuta una mobilitazione, l’organizzazione di un pezzo di società. Parliamo di realtà che sono sostenute da tante donazioni di cittadini che consentono di stare in mare ma anche, spostandoci all’altra frontiera, lungo la rotta balcanica, di prestare assistenza a chi prova una traversata via terra. C’è un mondo solidale che agisce, sapendo unire idealità e concretezza. Il dramma vero è la mancanza di coraggio e di visione da parte dei governi europei di fronte a questo tema. Governi che sono ancora dominati dalla paura e da una subalternità, culturale oltre che politica, ad una visione di destra. L’idea che non si possa affrontare il tema dell’accoglienza e dell’inclusione, perché a questo si paga un prezzo elettorale. Io credo che questo sia uno dei principali problemi che oggi ha la sinistra europea, e cioè la subalternità rispetto a un pensiero di destra su alcuni temi sui quali invece una battaglia oggi non soltanto sarebbe sacrosanta ma sarebbe anche matura. A volte la sensazione è che la società e gli elettori siano più avanti, su alcuni di questi temi, di partiti che dovrebbero rappresentarli.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.