Nadia Urbinati, politologa, docente di Scienze politiche alla Columbia University di New York.

Come valuta i primi passi di Elly Schlein alla guida del Pd?
La direzione è quella giusta. Dovrebbe forse essere più attenta a tenere insieme le varie rivendicazioni e movimenti di contestazione, non solo quelli ai quali è più legata, cioè diritti civili, clima e ambientalismo. Dovrebbe essere più attenta alle questioni sociali e del lavoro. Lei stessa ha promesso di esserlo, le due cose vanno tenute insieme in maniera più determinata e strategica.

Altro terreno di sfida per la neo segretaria è quello interno, come dimostra lo scontro sui nuovi capigruppo.
Il problema del Pd rimane anche se cambia il segretario. È legato alla struttura statutaria. Il fatto che Schlein sia stata eletta quasi plebiscitariamente dall’esterno del partito, lasciando l’interno all’altra parte, quella di Bonaccini, rivela che il Pd ha un problema serio di forza rappresentativa del segretario al proprio interno. Questo dualismo tra interno ed esterno non può essere risolto dalla figura della leader. La soluzione plebiscitaria non è una soluzione di stabilità nel tempo. Questo problema esiste ed Elly lo deve affrontare. Al momento lo sta affrontando nella maniera classica.

Vale a dire?
Con le mediazioni tra le correnti. Forse è necessario. Ma se non sarà in grado di imporre una unità di visione e di cooperazione, quello della sua leadership sarà un problema. Si troverà ad avere il partito (in quelle parti a lei non afferenti) contro. Come è stato per altri segretari. Lei corre questo rischio, benché rispetto, per esempio, a Zingaretti, parta avvantaggiata. Mentre Zingaretti prima di candidarsi aveva, mi è parso di capire, fatto accordi con le correnti; lei non ne ha fatti. Quindi da un lato è più libera, ma dall’altro rischia di non essere meno debole, proprio perché più libera, meno incardinata. Certo è che questo Pd, con Schlein alla guida, è in fase ascendente. Non conviene a nessuno mettere dei freni.

Altro tema caldo è la ricostruzione di un campo largo, plurale dell’opposizione al governo della destra.
Bisogna stare attenti a non trasformare il progetto di un campo largo in un camposanto. Pd e 5S sono nello stesso campo parlamentare. Questo dovrebbe ora essere importante: senza snervarsi a competere per la leadership dell’opposizione, facciano opposizione. Visto che il prossimo appuntamento elettorale sono le europee dove vige il proporzionale puro e non si pone l’esigenza di arrivare ad una coalizione elettorale. Mentre è chiaro che di fronte a un governo neofascista, la questione dirimente è costruire e tenere insieme due opposizioni, una nel Parlamento e una fuori. Su questo Pd e 5Stelle devono cooperare. Credo che convenga a tutte le opposizioni, lasciando stare il centro perché questi vanno dove li porta il cuore e il cuore non li porta a sinistra, cercare di trovare una comune strategia.

In una intervista a questo giornale, Sergio Fabbrini ha messo in guardia sul fatto che l’identitarismo, a suo avviso, contrasta e confligge con il governo di una società complessa.
Lui ha in mente l’America, dove il problema certamente esiste. Capisco il problema posto da Fabbrini e lo condivido ma mi sembra che non sia ancora il caso dell’Italia a meno che non ci si riferisca alla lotta sul gender. Quello che credo sia davvero un problema da noi è parlare di diritti civili come fossero diritti di minoranze. Si tratta di un errore gravissimo. I diritti civili non sono mai di gruppi definiti. Sono diritti della persona, di tutti noi, che possiamo fare scelte in futuro in una direzione o nell’altra e quei diritti ci proteggono. Non trasformiamo i diritti civili in un armamentario identitario. E’ pericoloso perché illiberale. Non è che ci sia una maggioranza con i suoi diritti e poi essa decide di concedere diritti speciali alle minoranze. E’ l’errore in cui la destra vuole farci cadere. La destra dice: noi abbiamo i diritti delle famiglie eterosessuali, quelle “normali”; e siamo disposti a concedere agli altri una specie di licenza. No. Questa è una violazione dell’idea stessa dei diritti, perché è una concezione proprietaria. Purtroppo in Italia c’è il rischio che questa orrenda (illiberale) interpretazione maggioritaria dei diritti costringa l’opposizione a costruire visioni identitarie sui diritti delle minoranze. Se Fabbrini pensa a questo rischio, ha ragione.

Il Pd di Elly Schlein è, almeno in fieri, un partito con il cuore e con la testa più a sinistra?
Oggi sinistra vuol dire essere capaci di tenere insieme intersezionalità, ovvero clima, diritti civili, diritti sociali, lotta alle diseguaglianze vecchie e nuove. E’ questo che oggi è sinistra. Elly Schlein in questo senso è la leader migliore. Perché lo ha capito benissimo e appartiene ad un’altra generazione che interrompe non solo l’androcrazia ma anche la gerontocrazia, la quale non è una questione anagrafica ma di formazione: il Pd, nella sua organizzazione interna, è ancorato a vecchie generazioni per formazione culturale e politica. Schlein è più vicina al nostro tempo, tanto da non essere compresa da chi a questo tempo si rifiuta di appartenere.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.