Un impegno solidale che Pierfrancesco Majorino ha portato anche a Bruxelles, da europarlamentare Pd. E che ora rilancia come candidato del centrosinistra nelle elezioni regionali in Lombardia del 12 febbraio 2023. All’attività politica, il neo candidato alla guida della “Baviera d’Italia” accompagna quella di scrittore. Da leggere il suo romanzo Sorella rivoluzione (Mondadori, 2022).

Da Milano a Bruxelles e ora di nuovo in Lombardia come candidato del centrosinistra alle Regionali del 12 febbraio 2023.
La coalizione me lo ha chiesto. Sono onorato ed emozionato e a disposizione di un grande gioco di squadra. Per dare alla Regione Lombardia un governo diverso. La destra di Attilio Fontana è stata palesemente inadeguata.

Da assessore a europarlamentare, e ora da candidato al Pirellone, il suo impegno ha avuto come filo conduttore quello dell’inclusione e dell’attenzione ai diritti sociali e di cittadinanza. In difesa dei più indifesi, tra i quali i migranti. “La svolta di Letta: “La sinistra riparte dagli ultimi: i migranti”. È il titolo di apertura di questo giornale a un articolo di Angela Azzaro che riflette sul carteggio tra il segretario Dem e Luigi Manconi. Lei come la vede?
Credo che dobbiamo partire dal riscatto sociale. Questo riguarda più dimensioni della povertà e della vulnerabilità, certamente vi è il tema enorme dei migranti, di come garantire governo dei flussi, accoglienza, rispetto dei diritti umani o ancora di come evitare l’orrendo teatrino sulla pelle delle persone fatto di porti chiusi e ridicole minacce muscolari contro le organizzazioni non governative. Tuttavia allargherei il campo, guardando alle radici di una buona parte della nostra storia. Ci sono forme di sfruttamento, precarizzazione, esclusione sociale che devono rappresentare il cuore del nostro nuovo inizio, in particolare nel tempo delle grandi crisi economiche, climatiche, sociali. Serve molta più radicalità su questi terreni e molta più coerenza nei comportamenti. Non puoi, diciamocela tutta, stare dalla parte del riscatto sociale quando sei all’opposizione e farlo a voce flebile quando sei al governo.

Il “Fascismo eterno” mirabilmente declinato da Umberto Eco si nutre nell’indicazione del Nemico su cui costruire la propria identità. Ieri gli ebrei, oggi i migranti.
Condivido, sono il cuore del progetto politico della destra più radicale. Che ha dato in pasto agli esclusi “nostri”, un nemico: “loro”. Mi faccia anche aggiungere una cosa: se questo è vero, ed è vero, la risposta è più, anche qui, radicalità e giustizia sociale per tutte e per tutti. Ne ho scritto in un saggio realizzato con Aldo Bonomi (Nel labirinto delle paure) alcuni anni fa: se vuoi contrastare questa operazione su cui si è forgiato il “Prima gli italiani” non te la cavi spiegando che così cresce il razzismo, esaltando la bellezza della società del pluralismo etnico. Devi rompere la saldatura tra neofascismi ed emarginati. E devi quindi investire risorse e attenzioni nella direzione dei diritti sociali. Peraltro dovresti farlo comunque, altrimenti tu, sinistra, che ci stai a fare?

Con la Francia è scontro frontale. È solo una questione di sgrammaticatura diplomatica o c’è altro?
Di sicuro c’è una diffidenza enorme nei confronti dei sovranisti. Una diffidenza che da Parigi a Bruxelles attraversa le classi dirigenti ed è assolutamente palpabile. Poi vi è stata la reazione ad una sorta di ricatto del governo italiano, con le persone salvate in mare trattate come pacchi. Tuttavia dobbiamo essere onesti: la Francia, pure effettua respingimenti alle frontiere assolutamente inaccettabili. E le istituzioni europee sono attraversate da tendenze contrapposte. C’è chi vuole aprire una nuova stagione politica fatta di salvaguardia dei diritti umani e organizzazione ordinata dei flussi anche attraverso la revisione di regole e chi crede che, alla fine, i migranti siano un “danno da ridurre”. Questo spiega i campi libici, ma, pure, i comportamenti indegni operati dalla Polonia alla frontiera con la Bielorussia o dalla Croazia alla frontiera con la Bosnia. Detto ciò ritengo che il rinnovato patto tra i due Presidenti, Macron e Mattarella, sia uno dei fatti più rilevanti di questi mesi e noi dobbiamo coltivare quella relazione nel nome di un cambiamento della politica europea su più terreni.

Il Pd a congresso. Una delle parole più usate, in alcuni casi abusate, è “identità”. Lei come la declina?
Devo dire una cosa. Al Pd del Lingotto ho creduto tantissimo. Ero affascinato dall’impostazione veltroniana di un partito a vocazione maggioritaria capace di tenere assieme alcuni valori forti capaci di descrivere un perimetro nel quale si incontrassero storie antiche diverse per dare vita a politiche di cambiamento. Oggi però quella forte innovazione politica è diventata qualcosa di molto diverso. Di certo c’è bisogno di rendere molto più evidente il nostro punto di vista. E partirei proprio dal piano del valore del riscatto delle persone e dalla dimensione globale, transnazionale dei problemi. Dalla fame di giustizia. Giustizia sociale e climatica. Di questo vorrei riuscissimo a discutere. Sappiamo che il mondo fuori da noi è vastissimo, affascinante e spesso molto più incoraggiante di quanto ci raccontiamo. Per me ad esempio è uno straordinario fattore di speranza il modo in cui le ragazze e i ragazzi del mondo hanno imposto alle istituzioni la necessità di aprire gli occhi di fronte alla crisi climatica. Di questo non si è discusso abbastanza.

Che cosa pensa delle battaglie per il clima delle nuove generazioni?
Da persona che si è formata nei movimenti e che oggi è dentro le istituzioni lo ripeto: se non ci fossero stati “loro” non avremmo avuto il Green Deal e le lobby della conservazione del modello di sviluppo – che ci ha trascinato sin qui – sarebbero ancora più potenti. Come trovo molto convincenti le mobilitazioni delle ragazze del mondo contro il patriarcato. Per non dire, ovviamente, dei contenuti, spesso dirompenti del Pontificato di Papa Francesco. Quel che intendo dire è che ridurre il confronto sulle identità al gioco di parole svuotate del ceto politico non è utile, non serve a nessuno. Se guardiamo fuori dalla finestra scopriamo che non siamo “solo” al cospetto di enormi paure. Ma pure di fronte a gigantesche speranze. Il punto è che non è assolutamente detto che tutto ciò si rivolga a noi per cercare “sintesi” politiche. È finita ogni rendita di posizione. Questo era vero da tempo e oggi è reso palese dal fatto che perfino sul piano dell’offerta politica esistono più soggetti. Se il Pd non ha un’identità forte semplicemente non sarà riconosciuto e creduto nemmeno da quelli che vorrà cercare.

Marco Minniti, allora ministro dell’Interno, asserì che “sicurezza è parola di sinistra”. Memorandum d’intesa con la Libia, finanziamento della Guardia costiera libica… È anche questo “di sinistra”?
No. Infatti Minniti per me fece un ragionamento sacrosanto sul piano politico culturale ma tradotto in un modo sbagliato sul terreno delle scelte. Sarebbe ingeneroso affermare che Minniti voleva i lager, tuttavia che quello fosse un rischio, in particolar modo in ragione della situazione libica e dell’assenza di modifiche europee sostanziali eravamo in diversi a denunciarlo. Palesemente ignorati, da Minniti e da praticamente tutto il Pd. Il fatto, poi, che la Guardia costiera libica sia stata finanziata con fondi europei destinati alla cooperazione, come denunciammo, anni dopo, dal parlamento europeo nell’autunno del 2019, è per me ancora clamoroso. Di sinistra, tuttavia, è il valore della cultura della legalità. Ho un rapporto molto contraddittorio con la figura di Minniti. Lo ho sinceramente contestato sulla Libia ma non dimentico che tentava anche di costruire con enti locali e terzo settore un grande piano per l’integrazione dei migranti in Italia, come premessa per coesione sociale e legalità.

Perché nel vocabolario politico del Pd la parola socialismo non è contemplata? Fa così paura?
Perché non abbiamo investito abbastanza su un tema, questo sì, identitario: la famiglia del Socialismo è ampia, ha culture radicalmente diverse che la compongono. Credo che serva stare stabilmente lì, senza ambiguità. Del resto siamo parte del Pse (socialisti e democratici) e ci stiamo, a Bruxelles, da protagonisti. Si ridefiniscono come “socialiste” le parti più radical del Partito democratico americano. Serve un nuovo Pd che sappia che diritti sociali, civili, umani devono stare insieme, nel tempo in cui c’è chi gioca a contrapporli.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.