«Napoli è indubbiamente una città sofferente, ma resta una grande capitale con un potenziale enorme. È pronta a rinascere, ma ha bisogno di un sindaco capace di gestire il Comune come una grande azienda e di guardare al disagio sociale che dilaga in città, tenendo uniti i vari strati della comunità e dimostrando di avere una visione per il futuro». Matteo Lorito, rettore dell’università Federico II, analizza i tempi che corrono cercando di immaginare il futuro di una Napoli chiamata a mettersi alle spalle dieci anni di amministrazione targata de Magistris.

Professore, oggi Napoli com’è?
«È una città ricca di risorse, il brand “Napoli” è conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Ci riconoscono la creatività, la capacità di attrarre turismo e, per quel che concerne la formazione, la Federico II prepara studenti molto stimati all’estero. Allo stesso tempo Napoli è una città sofferente e carente in termini di servizi e organizzazione urbana, è molto lontana da quello che potrebbe essere. C’è aria di cambiamenti».

Si respira un’aria nuova com’è nuova la classe dirigente che sta prendendo forma in questi mesi. In che modo la sua università contribuisce alla creazione del nuovo governo della città?
«La Federico II ha sempre dato il suo contributo alla formazione del governo della città formando tecnici e assessori. La nostra politica è legata al riconoscimento del merito, dell’impegno, e guardiamo il risultato concreto. Questo modo di ragionare è il più grande contributo dell’università che forma personalità capaci di combinare la tecnica con una visione politica virtuosa, capace di immaginare il futuro. L’università collabora con gli enti territoriali in tantissime iniziative, in primis con il Comune: mettiamo a disposizione il nostro sapere scientifico e i nostri progetti per il sociale».

Quali sono le iniziative principali dell’università per la città?
«L’ateneo è immerso nel tessuto urbano della città, fa da collante tra le periferie e i quartieri più centrali. La Federico II restituisce a Napoli la sua funzione di grande capitale della formazione universitaria, a livello europeo. Ma la nostra università è anche una grande macchina gestionale e amministrativa che funziona sulla base di un bilancio solido e perciò in grado di creare nuove aree urbane favorendo lo sviluppo di zone periferiche: il polo di San Giovanni a Teduccio e quello di Scampia sono l’esempio».

Il “modello San Giovanni” è stato un successo, sarebbe possibile replicarlo in altre zone della città?
«Assolutamente sì. Il modello San Giovanni, raccoglie al suo interno molteplici funzioni: i giovani hanno la possibilità di studiare e di professionalizzare i loro studi. Nel campus, ad oggi, ci sono circa dieci academy, l’Apple è solo uno dei grandi nomi presenti all’interno del polo. Chi decide di investire in questo progetto forma e poi integra nella sua azienda le risorse umane che qui possono acquisire un profilo molto alto. I giovani escono da qui pronti per entrare nel mondo del lavoro. Lo stesso modello è stato realizzato a Scampia, dove è quasi pronta un’estensione della nostra scuola di Medicina e Chirurgia all’interno della quale si farà anche attività ambulatoriale per potenziare la medicina territoriale ed evitare le ospedalizzazioni per le patologie che possono essere gestite anche con l’uso di tecnologie moderne. Stiamo lavorando ad altre iniziative di questo tipo e il prossimo progetto sarà creare un polo Agritech all’interno dell’ex Manifattura Tabacchi».

Il vostro programma pare molto chiaro, non crede che in vista delle elezioni comunali anche i partiti dovrebbero fare luce su candidati e progetti?
«La discussione politica oggi è molto viva, c’è un’attesa diffusa per conoscere i nomi ma, più che i nomi, si aspetta di conoscere i programmi, le idee per Napoli. Prima di parlare di iniziative, però, occorre avere un bilancio solido, altrimenti sarà difficile avere una grande visione della città. Bisogna trattare il Comune come una grande azienda senza dimenticare le persone».

Alla guida di Palazzo San Giacomo preferirebbe vedere un candidato civile o politico?
«Preferirei vedere una persona di qualità che abbia le capacità di un tecnico ma anche quelle di un politico, che guardi all’emergenza sociale, ai problemi concreti da risolvere con una certa urgenza, che sappia come trova la città oggi e che sappia pure come vuole lasciarla alla fine del mandato. Per Napoli mi piacerebbe un “sindaco del fare”, capace di tenere insieme la città e di intercettare le esigenze dei diversi strati della società napoletana».

Qual è il primo impegno che il nuovo sindaco dovrà segnare in agenda?
«Dovrà risolvere la questione dei servizi inefficienti: parlo dei trasporti, della viabilità, della manutenzione delle strade e della cura del verde. Sono tutti tasselli fondamentali per lo sviluppo dell’economia cittadina ma anche della cultura, perché questi elementi incidono anche sulla capacità attrattiva delle nostre università. Tutto questo tenendo ben presente che l’emergenza sociale presente in città va risolta».

La Federico II è impegnata in questa direzione. Potrebbe supportare il sindaco nella sfida all’inclusione sociale?
«Certo e lo facciamo già da tempo, collaborando anche con la Curia napoletana e con tutte le istituzioni presenti sul territorio. La nostra università si basa sull’inclusività e sull’apertura a chiunque voglia intraprendere un percorso universitario. Basti pensare che il 60% dei nostri studenti rientra tra quelli esenti da tasse. Questa politica sottolinea ancora una volta che il sapere è aperto a tutti e può essere un ascensore sociale. Il Covid lascerà dietro di sé una società fragile e parte di essa si sentirà abbandonata ed esclusa. è per questo che bisogna unire le forze e guidare la rinascita di Napoli».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.