La polemica
Ius culturae, chi cerca di demolire la legge va contro la Costituzione

Caro direttore, come certamente saprà sono la presentatrice della proposta di legge sullo “ius-culturae” che, tra mille difficoltà, sta finalmente percorrendo il suo iter in Parlamento. L’altro ieri Galli della Loggia ha firmato in prima pagina sul Corriere della Sera un lungo articolo nel quale, pur senza mai citarmi, commenta questa iniziativa provando a demolirla con argomenti tanto assurdi quanto pretestuosi.
Il professore considera la proposta di concedere la cittadinanza – al compimento di un intero ciclo di studi – ai ragazzi nati in Italia, contraria al sentimento prevalente degli italiani che, evidentemente, deduce dai consensi che i sondaggi assegnerebbero a Salvini e a quanti sostengono le tesi sovraniste sul rischio di una immigrazione incontrollata. Tante volte siamo stati rimproverati, come legislatori, di agire sotto l’impulso della piazza ma mai mi era capitato di essere accusata del contrario, e questo, si badi bene, mentre si denuncia, come fa l’autore, “la vista corta” della classe politica italiana. Ma c’è di peggio; il professore ci chiede di “guardare avanti” ma propone metodi didattici per questi ragazzi (campeggi estivi, concorsi culturali, soggiorni presso prestigiose scuole Militari, ecc.) che sembrano avere lo sguardo rivolto all’indietro quantomeno di una ottantina di anni.
Infine trovo incompatibile con la nostra Costituzione e con la concezione di uno Stato di diritto e liberale la considerazione di Galli della Loggia circa il fatto che l’osservanza della religione islamica possa, anzi debba, in qualche modo compromettere il riconoscimento della cittadinanza italiana.
Per rafforzare questo incredibile concetto l’autore fa l’esempio di genitori di religione islamica che hanno costretto (costretto, appunto) i propri figli a seguire tradizioni tribali o religiose tipiche di altre culture e Paesi. Insomma, il classico caso in cui le colpe dei padri (cioè l’attaccamento a tradizioni che nel nostro Paese possono arrivare a costituire anche un reato) debbano ricadere inevitabilmente sui figli, ancorché questi pratichino ed anelino diversi stili di vita.
Con queste motivazioni e con un malcelato disprezzo per il ruolo che la scuola svolge nel nostro Paese, il professore liquida una proposta sulla quale, invece e per fortuna, convergono tanti parlamentari ma, soprattutto, gran parte del mondo del volontariato e del terzo settore che si occupa di diritti dei minori e di integrazione. Personalmente nutro maggiore fiducia sia nei ragazzi e nella loro, a volte disperata, volontà di integrarsi, sia nella nostra scuola; che non sarà forse più maestra di vita ma che rappresenta un’istituzione fondamentale per forgiare e realizzare una nuova cittadinanza.
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