Si era presentato come un progressista: sembrava dover essere sostanzialmente un Jeremy Corbyn – del cui governo ombra era stato ministro per la Brexit – ma in giacca e cravatta, senza l’ossessione per l’IRA o la Palestina. Alla fine si è rivelato tutt’altro. Stiamo parlando di Keir Starmer, sessantenne figlio di una famiglia così laburista da dargli il nome del fondatore del Labour, Keir Hardie, carriera come procuratore a Londra, che nell’aprile 2020 è stato eletto segretario dello storico partito britannico.

Fino alla sua elezione come leader Keir Starmer era stato considerato un esponente della ‘soft left’, la corrente centrale al partito laburista. Ma una volta ottenuto il consenso dei militanti e dei parlamentari dopo le dimissioni di Corbyn, che aveva portato il Labour alla disastrosa sconfitta elettorale del 2019 contro Boris Johnson, Starmer ha cominciato a ricalibrare la linea politica del partito per costruire una valida alternativa ai Tories alle elezioni politiche dell’anno prossimo.

Il Labour di Starmer parte da un cuore di proposte squisitamente progressiste – dal potenziamento della sanità pubblica all’abolizione delle leggi restrittive degli scioperi – corredate da altre misure che richiamano il New Labour blairiano: politiche a sostegno della crescita e delle aziende, una politica estera a favore della Nato, tolleranza zero contro il crimine (rievocando il celebre slogan ‘tough on crime, tough on the causes of crime’, duri contro il crimine, duri contro le cause del crimine). Insomma, un ritorno del tutto inaspettato di quella terza via riformista che Corbyn aveva cacciato dal Labour party. Ma oltre alle proposte Keir Starmer sta promuovendo una nuova narrativa, non soltanto adottando parole come patriottismo, famiglia e forze armate – concetti storicamente abbastanza assenti dal lessico della sinistra inglese – ma anche tentando di riabilitare Tony Blair, una figura che rimane inviso agli ambienti più di sinistra che come al solito preferiscono dimenticare chi li abbia condotti per ben tre volte consecutive alla vittoria.

Il processo di riposizionamento non è stato gratuito per Starmer, che ha dovuto rimangiarsi diverse promesse che aveva fatto durante la campagna congressuale esponendosi a dure critiche come quella del noto opinionista massimalista Owen Jones: “Durante il congresso Starmer ci aveva promesso corbynismo con più serietà, e invece ci ha dato il blairismo senza il carisma”. Nel nuovo Labour di Starmer ci sono due coni d’ombra. Il primo è il posizionamento sul tema dell’immigrazione, che sta diventando sempre più restrittivo. Il secondo il posizionamento sull’Europa, dove si continua a registrare un silenzio assordante. Ma mentre il primo lo faceva per convinzione, il secondo lo fa per opportunismo: per vincere le elezioni del 2024 sarà fondamentale per il Labour riconquistare i seggi nelle Midlands del cosiddetto ‘Red Wall’, ‘il muro rosso’, una cintura di collegi storicamente di sinistra che nel 2016 votarono per la Brexit e nel 2019 per Boris Johnson. Per questo motivo la causa europeista è stata appaltata ai Lib-Dems, con i quali è plausibile ipotizzare intese di voto tattico per massimizzare le vittorie nei collegi.

Gli sforzi di Keir Starmer stanno dando frutti: nel 2020 il Labour era ben 22 punti sotto i Conservatori nei sondaggi, oggi si trova oltre 14 punti sopra. Un risultato strabiliante, dovuto però anche alla gestione disastrosa dei Tories di questi ultimi anni, tra Boris Johnson, Lizz Truss, premier per 44 giorni e infine Sunak.

Per ora il progetto di Starmer ‘il maverick’ ha tenuto botta malgrado le varie giravolte, confermando la massima di Harold Wilson: “Il Labour è come un uccello, per volare ha bisogno sia di un’ala sinistra che di un’ala destra”. Vedremo presto se riuscirà a riportare il Labour al Number 10: le elezioni nazionali si dovrebbero tenere nel dicembre 2024, ma nessuno mette la mano sul fuoco che non vi si arrivi prima.

Alessio De Giorgi, Mario Massungo

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