Tra i tanti aspetti da osservare con attenzione in questa campagna elettorale per le amministrative napoletane, uno di rilievo – benché il grosso dell’elettorato tenda a trascurarlo – riguarda il ruolo della cultura accademica, non solo come autrice di proposte programmatiche che costituiscono parte degli “arsenali di idee” dei candidati a sindaco, ma anche come possibile “serbatoio” di figure alle quali assegnare ruoli da assessore o da consulente tecnico. La storia del rapporto coi tecnici qui è antica, talora controversa e con rovesciamenti di campo.

Cito a memoria solo quella degli anni più recenti e unicamente riferendomi a talune personalità: da sindaco Antonio Bassolino aveva dalla sua gli urbanisti Vezio De Lucia e Rocco Papa e poi  – altro vicesindaco e in seguito suo sostituto – la mente giuridica raffinatissima di Riccardo Marone. Rosa Iervolino, invece, litigò coi “piripacchi”, gli intellettuali che le facevano le bucce sul colonne del Corriere del Mezzogiorno (ero tra i reprobi, all’epoca) e Luigi de Magistris fece ponti d’oro a persone come Riccardo Realfonzo, Carlo Iannello e poi Nino Daniele, salvo non muovere un dito per trattenerli quando si accorse che erano intelligenze non disposte all’ossequio servile. Caldoro – ma alla Regione,  visto che al Comune la destra non tocca palla dai tempi di Lauro – mise in giunta anche  professori come Guido Trombetti, Caterina Miraglia (madre, per la cronaca, dell’oggi “forzitalico per Manfredi” Stanislao Lanzotti) ed Edoardo Cosenza, ora presidente dell’Ordine locale degli ingegneri che pure sta con l’ex rettore: fratelli siamesi  da quando erano giovanissimi, aggiunge alla competenza tecnica comune anche all’altro una comunicativa che l’ingessatissimo candidato, che  da sveglio sembra un surgelato Findus, si sogna la notte (hanno voglia i pubblicitari a “scravattarlo” sui manifesti e lo spin doctor Sergio Locoratolo, professore a Foggia e bella testa anche giornalistica, a volerlo empatico). Capitolo a parte quello di Vincenzo De Luca, anche lui pronto a usare i limoni, a spremerli e poi a gettarli via, a volte ancora acerbi. Ne sanno qualcosa il filosofo della Luiss Sebastiano Maffettone e lo scrittore ravellese di famiglia Antonio Scurati.

L’ultima novità è la candidatura con Forza Italia, quindi con Catello Maresca, del cardiologo Pasquale Perrone Filardi che attacca l’ex rettore e ministro su quella che definisce  «gestione baronale» della Federico II da parte di Manfredi. Pesano ricordi e veleni dell’ultima campagna rettorale che ha visto Medicina sostenere il suo Luigi Califano contro Matteo Lorito, direttore di Agraria e controfigura più pallida dell’uscente Manfredi, di cui condivide la mentalità da tecnocrate e che poi è riuscito vincitore al fotofinish. Qui però non possiamo starci.

La Federico II, fondata a metà del Duecento appunto dall’imperatore di cui porta il nome e la cui enorme statua bronzea guarda chi entra dall’atrio a corso Umberto, ne ha visti di eventi, di regni e repubbliche, di capi di Stato, presidenti e ministri, figuriamoci poi di rettori e di sindaci. Non appartiene solo a Napoli, ma a una comunità di professori e studenti che è di tutto il Mezzogiorno e del mondo intero. Alla campagna elettorale di qualunque città le si rivolga con rispetto istituzionale può fornire idee ed energie ma, mentre altri passano, è destinata a restare, come ha sempre fatto. Giù le mani, per piacere.