E' accusata di ritardi nella definizione di fascicoli
La pm Alessia Sinatra molestata dal collega Creazzo: alla sbarra finisce lei…

La Procura generale della Cassazione, competente per gli illeciti disciplinari delle toghe, ha chiesto e ottenuto un nuovo processo per la Pm di Palermo Alessia Sinatra. L’accusa consisterebbe nell’aver accumulato dei “ritardi” nella definizione di alcuni fascicoli, sei per la precisione. Ieri la prima udienza. La magistrata, con la sua condotta, sarebbe venuta meno “ai doveri di diligenza e laboriosità” per “negligenza inescusabile”.
Una contestazione che ha molto sorpreso dal momento che i disciplinari nei confronti dei Pm che fanno prescrivere un loro procedimento si contano sulle dita di una mano. “Sono stato indagato per dieci anni per un abuso d’ufficio che non stava né in cielo e né in terra”, ha ricordato sempre ieri l’ex assessore al personale del Comune di Parma Giovanni Paolo Bernini (FI) presentando alla Camera il libro “Colpo al Sistema” dove sono raccontate le sue vicissitudini giudiziarie. “La Pm Paola Dal Monte scrisse che gli investigatori avevano commesso degli errori e sono stato anche risarcito”, ha aggiunto Bernini, sottolineando che quel decennale stallo “investigativo-procedurale” non aveva determinato per la toga alcuna conseguenza di tipo disciplinare.
Tornado, comunque, alla magistrata siciliana, nei mesi scorsi, suo malgrado, era balzata agli onori delle cronache per essere stata punita dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura per alcune chat scambiate con Luca Palamara. Dopo essere stata molestata sessualmente in un albergo della Capitale dall’allora procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, Sinatra aveva deciso di non denunciarlo, cercando conforto e vicinanza in Palamara. Alla vigilia della nomina del nuovo procuratore di Roma, a maggio del 2019, Sinatra aveva chiesto al collega e amico di stoppare la candidatura di quello che per lei era un “porco”.
Comportamento “errato”, per il Csm, secondo cui “non avendo ritenuto di denunciare le condotte abusanti del dott. Creazzo mediante formale querela, ben avrebbe potuto comunque far valere le sue ragioni nell’opportuna sede civile”. Il “magistrato, come qualunque altro cittadino, è tenuto ad esperire le tutele – e solo esse – consentite dall’ordinamento”, avevano scritto i giudici disciplinari. La lettura della sentenza di condanna aveva scatenato numerose polemiche per evidenti contraddizioni.
Per la sezione disciplinare del Csm, presieduta da Fabio Pinelli, le chat con Palamara rappresentavano un “condizionamento dei componenti del Csm nella scelta del procuratore della Repubblica di Roma allo scopo meramente privato di perseguire la riparazione di un torto subito”.
Palamara, però, nel maggio 2019, non era più consigliere del Csm per avere cessato dal mandato consiliare nel settembre 2018, essendo inoltre incontroverso che avesse gelosamente custodito per sé solo le rimostranze della collega, senza metterne a conoscenza alcuno e tantomeno i consiglieri del Csm in carica.
E sempre ieri sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui il 30 maggio scorso hanno accolto la richiesta di patteggiamento a un anno per Palamara. L’accusa iniziale di corruzione era stata riqualificata dalla Procura di Perugia, con il procuratore Raffaele Cantone e i Pm Gemma Miliani e Mario Formisano, in traffico di influenze illecite. “Da quanto si evince dal compendio probatorio in atti, l’attività di mediazione svolta da Palamara è stata certamente finalizzata ad inquinare la funzione dei terzi pubblici agenti – sottolineano i giudici perugini – con cui egli aveva rapporti (o comunque era in grado di allacciarli senza difficoltà), compromettendone l’uso del potere discrezionale”.
“Come si evince dalle intercettazioni – prosegue – molti erano i magistrati, anche di altri uffici e/o sedi giudiziarie, che si rivolgevano a Palamara per avere anticipazioni sulle future determinazioni consiliari o per chiedergli di ‘caldeggiare’ domande avanzate per uffici direttivi o semi-direttivi”. “Egli era una fonte sicura di consigli, tranquillizzava e rassicurava gli interlocutori, anche grazie ad un modo di porsi certamente empatico ed accattivante. Aveva, così facendo, costruito intorno a sé una rete di relazioni interne alla magistratura, che andava a saldarsi con quella delle relazioni esterne, anch’esse coltivate assiduamente nel corso degli anni, coinvolgente politici, imprenditori, personaggi del mondo dell’informazione e perfino dello spettacolo”, aggiungono i giudici, puntualizzando che “ovviamente, Palamara non era, in ogni caso, in grado di assicurare il risultato sperato, così come la sua spendita di influenza non era sempre finalizzata a scopi illeciti”.
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