Ma quella della Cartabia è un missione impossibile
La riforma Bonafede è morta, i forcaioli Travaglio e Davigo a lutto: cittadini meno prigionieri
Oggi il forcaiolismo nostrano è listato a lutto. La riforma (sia detto senza offesa) della prescrizione firmata 5 stelle è deceduta. Piangono, i poveretti, la dipartita di una grande conquista di incompresa civiltà. Quella per la quale se uno Stato, per propria incapacità strutturale, non sa impiegare meno di una decina di anni per stabilire se sei innocente o colpevole, beh chissenefrega. Devi rimanere prigioniero del tuo processo fino a quando ci aggrada. Stai lì e aspetta, quando stiamo comodi te lo diremo, se la tua presunzione di innocenza (che palle con ‘sta storia, suvvia!) debba trovare conferma o smentita. Nel frattempo, la tua vita è maciullata, divorata dal pubblico discredito. Sei un presunto colpevole d’altronde, la prossima volta imparerai a non metterti in condizione di essere sospettato.
Sarei curioso di sapere cosa ne pensano gli alfieri di questa roba -i Caselli, i Davigo, i Travaglio e travaglini vari, nonché i sommi giuristi di comesichiama Appula- della recentissima sentenza della Corte Costituzionale, che in tema di prescrizione ha appena finito di ribadire i seguenti principi: “Il rispetto del principio di legalità richiede, quindi, che la norma, la quale in ipotesi ampli la durata del termine di prescrizione (art. 157 cod. pen.), ovvero ne preveda il prolungamento come conseguenza dell’applicazione di una regola processuale, sia sufficientemente determinata”. Ed ancora, che il rispetto del principio di legalità esige “la predeterminazione per legge del termine entro il quale sarà possibile l’accertamento nel processo, con carattere di definitività, della responsabilità penale”.
Sapete cosa significa questo, illustri signori? Che la vostra conquista di civiltà è, molto semplicemente, un obbrobrio fuori dalla Costituzione. Firmato: Corte costituzionale. Senonché il Paese è così malridotto, che da due mesi stiamo impazzendo per capire come non irritare gli artefici e i corifei di una simile porcheria. Invece di -come si diceva un tempo- mandarli a ripetizione di diritto costituzionale, tocca rispettarne “l’identità politica”, che si risolve ormai solo in quella robetta incostituzionale lì.
E poiché questo non è più oltre possibile e tollerabile, è toccato dargli il contentino forcaiolo buono per tutte le stagioni. Inseriamo qualche reato “identitario” nel famoso catalogo (mafia, terrorismo, violenza sessuale eccetera) per i quali il giudice, a determinate condizioni, potrà prorogare di un annetto il nuovo termine di prescrizione processuale (due anni per l’appello, un anno per la cassazione). Quindi dentro corruzione, concussione, peculato. Per questi eroi del nostro tempo, la cosa riveste evidentemente una funzione analgesica, balsamica.
Almeno questo! hanno frignato. Ed il Governo li ha dovuti accontentare, a quanto pare contro la volontà degli altri partners di maggioranza, ma quando devi quadrare un cerchio può accadere anche questo. Quindi ora un processo -per dire- a carico di un vigile urbano che ha preteso mille euro dal barista per chiudere un occhio sui tavolini messi fuori senza licenza, può finalmente durare un po’ di più del processo al bancarottiere miliardario che ha depredato migliaia di risparmiatori. Sono soddisfazioni, diciamoci la verità. È confortante sapere che ci sono costoro – i Di Battista, i Crimi, quell’altra dello scatarro (mi sfugge il nome), gli Scanzi e i Barbacetto eccetera- a vegliare su ciò che resta della pubblica moralità. Certo, hanno dovuto arrendersi alla Corte costituzionale, ma almeno qui hanno tenuto il punto caspita.
Questo, amici miei, è il Paese nel quale, al momento, ci tocca vivere. Quale “riforma della giustizia” potevamo e possiamo seriamente attenderci da queste macerie del diritto, della ragione, e anche del senso del ridicolo? E infatti il prodotto di una simile “mission impossible” è una cosa mezza sì e mezza no, costellata da qualche buona idea, da tante altre abortite a svuotate, e da altre ancora contro le quali occorrerà che il Parlamento si impegni molto seriamente.
Oggi possiamo dire questo: la obbrobriosa riforma Bonafede della prescrizione è alle spalle; il tentativo di stravolgere il processo di appello è stato in larga parte sventato; qualche altra buona idea, di schietta ispirazione costituzionale, è stata incartata dal Governo in una legge delega che, non dimentichiamolo, era da brividi.
È la riforma del processo che vorremmo, e che scriveremmo noi? Nemmeno lontanamente, ed il nostro impegno per migliorarla ora dovrà moltiplicarsi. Ma, questo essendo il Paese che abbiamo democraticamente scelto di darci, almeno salutiamo come merita la fine di una stagione che non avremmo mai voluto vivere, e che ora comincia davvero a scivolarci dietro le spalle.
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