La strategia del governo
La stabilità a tutti i costi non basta e ci mette a rischio
“Stability First”, prima di tutto la stabilità: l’eredità di Mario Draghi sembra diventata un’ossessione per Giorgia Meloni. Più passano i mesi al governo del paese, più il nuovo esecutivo di centro destra sembra incapace di trovare un rotta di politica economica nuova, sostenibile e coraggiosa, per risollevare il Paese dalla crisi di crescita e di credibilità che lo ha messo ai margini dell’Europa.
Oggi la parola d’ordine non è (più) vincere, ma prudenza e reverenza verso le istituzioni, le regole e i vincoli europei: quindi, niente strappi di bilancio, niente riforme fiscali e pensionistiche che possano innervosire i mercati finanziari, la Bce e la Commissione di Bruxelles. Che dire: visti i timori della vigilia sulle promesse della nuova destra, niente nuove buone nuove? Per il momento, soprattutto dopo la presentazione del Def l’Italia sembra restare prigioniera del mantra di Draghi: “Stability First”.
Le previsioni del governo per l’anno in corso e per il prossimo anno, infatti, lasciano poco spazio non solo alle aspettative degli elettori di centro-destra, ma anche alle ben più concrete e urgenti attese degli italiani in tema di occupazione, crescita, risanamento dei conti e taglio del debito. Certo, la decisione di destinare le risorse aggiuntive ricavate dal deficit per tagliare il cuneo fiscale si muove nella giusta direzione, ma si tratta sempre di un intervento marginale e in linea con quanto già fatto da ogni governo da Matteo Renzi in poi. La stima del deficit per quest’anno al 4,5% programmatico, a fronte di un 4,35% tendenziale, libera infatti oltre 3 miliardi che il governo userà, con un “provvedimento di prossima attuazione” (?), per tagliare i contributi sociali a carico dei dipendenti con redditi medio-bassi. Per le pensioni, invece, niente di nuovo sul fronte occidentale: i soldi a disposizione non bastano.
Già, ma di quali soldi parliamo? Di quelli del Pnrr, ovviamente: perché tutte le previsioni economiche contenute nel Def non si basano su scenari concreti e sostenibili di crescita economica, ma sulla disponibilità dei finanziamenti e dei prestiti promessi dall’Europa. Dal Def si capisce chiaramente che sul paese resta l’incognita di una spinta che rischia di essere ormai già esaurita sul Pil. “Per rendere il nostro Paese più dinamico, innovativo e inclusivo non basta soltanto il Pnrr”, ha evidenziato anche il Tesoro, che pur rassicurando sul lavoro in corso per ottenere la terza rata da 19 miliardi, apre a nuovi scenari: bisogna investire anche per “rafforzare la capacità produttiva nazionale e lavorare su un orizzonte temporale più esteso” di quello del Piano, per evitare nuove fiammate inflazionistiche. Una trasparenza apprezzabile, ma dai contenuti certamente preoccupanti.
In questo contesto, è stato inevitabile per il governo tagliare le previsioni di crescita economica per il prossimo anno, tenendo soprattutto conto dell’impatto negativo dell’aumento dei tassi di interesse, degli effetti della guerra in Ucraina e dell’emergere di crisi localizzate nel sistema bancario e finanziario internazionale. Nel suo Documento di economia e finanza approvato martedì dal Consiglio dei Ministri, il Tesoro italiano prevede che il prodotto interno lordo (Pil) crescerà dell’1,5% nel 2024, in calo rispetto a una precedente proiezione dell’1,9% fatta a novembre. La previsione del Pil 2023 è stata invece portata all’1% da un precedente 0,6%. al contrario, il Fondo Monetario ritiene non solo che il Pil italiano non supererà lo 0,7% nel 2023, ma ha anche rivisto al ribasso di 0,1 punti percentuali (allo 0,8%) la crescita prevista per l’Italia nel 2024, collocando il Paese all’ultimo posto delle economie del G7.
Ma come detto, tutto resta molto vago: le previsioni tendenziali del Def sulla crescita non sono il risultato di investimenti privati e di politiche industriali mirate sullo sviluppo delle imprese e del lavoro, ma sono appese alla capacità del governo di accelerare la messa a terra delle risorse del Recovery plan. La stabilità a tutti i costi, insomma, non solo non basta, ma rischia anche di dare al governo una falsa certezza di sicurezza sul rapporto con l’Europa e i mercati: non è un caso se i tassi di interesse dei Btp restano ancora alti quanto quelli della Grecia.
Giorgia Meloni vuole continua a ripetere che l’Europa dovrebbe concentrarsi maggiormente sulle politiche di incentivazione volte ad aumentare la crescita economica, e meno sui dati macroeconomici, ma per farsi ascoltare non basta “alzare la voce”, come ha ribadito subito dopo le elezioni. Servono i fatti, e senza inutili polemiche o perdite di tempo: il caso-Italia, dicono a Bruxelles, sarà un argomento di discussione alla riunione preparatoria della commissione per il bilancio del Consiglio europeo della prossima settimana e al prossimo vertice del Consiglio europeo, previsto per giugno. Tic toc, tic toc…
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