La parola chiave scelta da Giorgia Meloni per questo vertice europeo, il primo dopo la tragedia di Cutro, è “soddisfatta”. Entrando ieri mattina a palazzo Europa, sede del vertice, la premier ha detto di “aspettarsi passi in avanti sul dossier migranti”. E di essere “soddisfatta” della bozza di conclusioni che chiede alla Commissione di “procedere spedita”. «Oggi il dossier migranti verrà aggiornato con una relazione della presidente della Commissione che racconterà dei passi in avanti fatti. Poi in un nuovo vertice, a giugno, potremo misurare l’efficacia di questi passi. Quindi possiamo confermare che il tema dell’immigrazione è un tema considerato oggi centrale e che viene seguito passo passo dal Consiglio. Una cosa impensabile fino a qualche mese fa».

Se facciamo l’analisi logica della dichiarazione dovremmo affermare che stiamo parlando del nulla. La relazione di von der Leyen cui fa riferimento la premier è un “breve aggiornamento sull’argomento” e non quella “discussione sul fenomeno profughi con misure efficaci e immediati ” di cui ha parlato palazzo Chigi dopo la tragedia di Cutro nelle varie interlocuzioni avute via lettera con von der Leyen e lo stesso Charles Michel. La verità è che nella ritualità dei tempi della Commissione, sarebbe stato velleitario aspettarsi oggi azioni concrete approvate da tutti i 27. Se c’è un tema che divide, questo è proprio l’immigrazione. E se c’è un dossier, dopo quelli economici, in cui l’Italia viene spesso e volentieri rimproverata dalle cancellerie e dai governi dell’Unione, è l’immigrazione: siamo lenti con le identificazioni, non le facciamo come si deve e in questo frattempo lasciamo la gente spostarsi in tutta Europa in maniera clandestina.

I famosi “movimenti secondari” di cui spesso parla Meloni puntando il dito sul fatto che è “impossibile gestire i movimenti secondari, interni all’Europa, se prima non sappiamo gestire quelli primari che pesano tutti e solo sull’Italia”. Ecco perché occorre accontentarsi delle promesse: i tempi europei sono questi. Ci vollero sette mesi per avere il Fondo europeo del Next generation Eu dopo l’incubo Covid (da cui l’Italia ha attinto i 209 miliardi per il suo Pnrr). Ce ne sono voluti otto per avere il tetto al prezzo del gas e Draghi fece quasi saltare il tavolo in quel suo ultimo Consiglio europeo in ottobre pur di portarlo a casa. Tutti noi sappiamo quanto sarebbe stato necessario avere entrambe queste misure prima, molto prima. Quattro mesi – da febbraio a giugno – per avere a terra le prime misure di un piano vasto e complesso con l’Act plan sulle migrazioni può quindi essere motivo di soddisfazione, dal punto di vista della premier.

Von der Leyen ieri sera durante la cena ha fatto il punto sull’Act plan deciso dopo il vertice di febbraio: fondi europei per i flussi regolari (mezzo miliardo all’Italia); creare flussi europei “sull’ottimo esempio che sta dando l’Italia”; interlocuzione serrata con i paesi di origine dei flussi, la fascia subsahariana, per disincentivare le partenze; un piano europeo per l’Africa, sul modello del piano Mattei italiano; il riconoscimento che i confini di mare italiani sono confini europei e che dunque la faccenda ha una dimensione europea e come tale deve essere gestita anche e soprattutto con maggiori controlli nel Mediterraneo; una rivisitazione dei meccanismi dell’asilo e quindi mettere mano alla Convenzione di Dublino per cui l’identificazione e accoglienza sono a carico del primo paese europeo in cui il migrante mette piede. C’è anche la missione europea a Tunisi, fortemente richiesta da Roma perché la Tunisia è un paese a un passo dal fallimento. Il problema è che tutto questo al momento sono e restano parole. Ma non poteva essere diversamente.

La “soddisfazione” di Meloni – che le opposizioni leggeranno come un fallimento e la maggioranza come un suo successo personale (la stessa premier fosse oggi all’opposizione ripeterebbe a loop la parola “fallimento”) – va quindi letta con un altro paio di occhiali, di quelli che aiutano a leggere più lontano. E che raccontano della definitiva istituzionalizzazione della premier. Soprattutto in Europa. Soprattutto a Bruxelles dove sembra aver dismesso quella cifra da leader politica di opposizione che a febbraio le aveva fatto metter il broncio contro la Francia e Macron che l’aveva esclusa da un bilaterale Francia-Germania. E proprio il bilaterale con Macron – atteso da quattro mesi, dall’incidente con la nave dell’ong spedita al porto di Marsiglia – sembra essere un altro pezzetto del nuovo profilo della premier, più disponibile ai grigi, agli scambi che si fanno ma non si dicono, consapevole che l’asse con Varsavia e Budapest, i suoi amici, non potrà mai tirarci fuori dai guai. E quindi pazienza se Macron ogni tanto fa di testa sua: sui dossier economici, patto di stabilità e flessibilità dei conti, è l’unico che ci può dare una mano. Come si cambia. Quando si capisce che non ci sono altre vie d’uscita. Vediamo quanto dura.

La prima giornata del Vertice va avanti, come sempre fino a tarda sera, ben oltre la cena. Sull’Ucraina Meloni va dritto come sempre, allineata e coperta da Europa e Nato, «con nessuna preoccupazione – ha precisato – rispetto agli alleati in maggioranza». Il Consiglio prepara un sesto pacchetto di sanzioni, chiede a Mosca di “restituire subito i bambini deportati a Mosca dall’Ucraina” (e che sono costati a Putin l’incriminazione per crimini di guerra), ascolta Zelensky che, in collegamento, chiede alle Nazioni Unite (ospite del Consiglio Ue è il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres) di organizzare in una capitale europea un vertice e un confronto sul suo piano di pace. Un po’ peggio è andata sulle auto a benzina: nessuno sconto e nessun rinvio oltre il 2035. «Non possiamo fare avanti e indietro sugli accordi già presi. Dobbiamo dare certezze e non il contrario», ha chiuso il discorso Roberta Metsola.

Intanto il primo giorno di vertice ha riservato ieri un inatteso fuori programma. La presenza di Elly Schlein alla segreteria del Pse a Bruxelles è stata una boccata d’ossigeno per un partito ancora pieno di ferite per il Qatar gate. Soprattutto la presenza della segretaria Pd ha richiamato telecamere e taccuini, qualcuno è stato persino distolto dal Vertice, e ha fatto per tutto il giorno da contraltare alle dichiarazioni e alle indiscrezioni che filtravano dall’Europa building, sede del Consiglio. La premier “soddisfatta”? «E di che cosa – si è chiesta la segretaria del Pd – il governo non ha risposte sull’immigrazione semplicemente perché sbaglia le domande». Un dualismo ieri non previsto.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.