Precipitano le speranze di pace a breve, come promette Donald Trump dal giorno del suo insediamento il prossimo 20 gennaio con ingresso rituale e trionfale alla Casa Bianca. E questo lungo “gap” fra l’elezione e l’insediamento è un effetto collaterale di un deterioramento visibile in chiaro da tutte le dichiarazioni pubbliche e personali che vengono dal Cremlino, nessun problema di interpretazione diplomatica.

Il più facondo e loquace è il presidente Vladimir Putin, spesso ormai affetto da tele-mania, il quale ogni giorno spiega come la Russia abbia diritto a rinchiudere l’Ucraina nel lager detto “sfera d’influenza” (come durante la guerra fredda si chiamava il sistema degli stati satelliti, o “cortina di ferro”). Il punto è: la Russia non tratta le sue conquiste militari. La Russia non intende permettere all’Ucraina di entrare non solo nella Nato ma anche nell’Unione europea. La Russia non è interessata a un cessate il fuoco, ma anzi a un ulteriore massacrante impegno nell’invasione con mercenari ceceni, africani, resti della Wagner, detenuti, truppe nordcoreane incapaci a combattere una guerra tecnologica e spedite nel tritacarne (molti gli episodi di ribellione) dopo aver creduto di dover essere solo un supporto di retrovia delle truppe russe che sparano addosso ai coreani quando questi tentano di fuggire – si parla di centinaia di disertori.

Ma c’è di più, molto di più: la Cina non credeva nella vittoria militare di Putin, ma se questo avvenisse, lui vuole subito Taiwan con le buone o le cattive, visto che gli Stati Uniti ormai si sono dimostrati “una tigre di carta”, come diceva Mao Zedong. Del resto, perché no? L’America ha perso sul campo in Vietnam, ha perso l’Iraq e l’Afghanistan, sta perdendo e perderà l’Ucraina, e dunque nessuno ha più paura del lupo cattivo. Ma le complicazioni sono note, come in una partita a scacchi giocata da Maestri: se la Cina invade Taiwan, il governo giapponese ha subito promesso di entrare in guerra contro Cina insieme all’Australia. Così: senza se e senza ma. Sul tamburo.

Il mondo del 1939 – quando Hitler in sincronia concordata con Stalin attraverso il patto scritto del 23 agosto, negli allegati dello sfrontato “patto di non aggressione”, invase la Polonia nel settembre dello stesso anno (il 51% andò all’Unione Sovietica e il 49% ai nazisti) – ignorava che si trattasse dell’inizio della Seconda guerra mondiale. I russi, per la vergogna di essere stati alleati combattenti con i nazisti, parlano soltanto di “Grande guerra patriottica” dal giugno del 1941, quando l’alleato Hitler li pugnalò alla schiena. E Putin con un decreto del 2019 – nel settantesimo dell’Alleanza sovietico-nazista – varò una legge che comminava multe e galera a chiunque ricordasse che la guerra cominciò con l’alleanza militare russo sovietica che ebbe punte di deliranti e criminali entusiasmi, come la consegna alla Gestapo sul ponte di Brest Litovsk, di tutti gli ebrei e comunisti tedeschi rifugiati in Urss. E oggi la nuova Russia di Putin respinge ogni ipotesi di pace promossa dagli americani.

Una prova? Eccola. L’oligarca Konstantin Malofeyev è uno degli uomini del Cremlino più vicini a Vladimir Putin e quando un giornalista del Financial Times gli ha chiesto che cosa pensasse del piano di pace elaborato dal generale Keith Kellogg per conto di Donald Trump, ha risposto: “Che venga qui, Kellogg, che venga a portarcelo a Mosca questo piano di pace. E noi gli diremo, dopo averlo formalmente ricevuto, che può anche andare a farsi fottere perché non una sola parola ci interessa. Se quello è il piano, il negoziato è già finito”. A seguire, decine di dichiarazioni russe in cui si afferma che Mosca non intende negoziare nulla, perché Putin, gli alti gradi militari e gli oligarchi che contano hanno deciso che questa guerra va vinta sul campo. E novità così brutali hanno fatto drizzare le orecchie a Pechino: se la Russia può davvero vincere in Ucraina umiliando la declinante leadership americana, allora è arrivata l’ora di prenderci Taiwan e chiudere la partita.

Il presidente cinese Xi Jinping aveva sempre guardato alla “operazione militare speciale” russa in Ucraina con molte riserve, perché pensava che avrebbe provocato un intervento armato americano. Ma se invece l’America – prima con il tentennante Joe Biden e poi con Donald Trump – dimostra di non saper fare altro che inviare aiuti buoni per allungare lo strazio e poi concedere la vittoria, noi siamo pronti ad affrontare i sacrifici necessari per avere Taiwan e le sue terre rare. Putin da dieci giorni ripete in ogni occasione che il posto dell’Ucraina è in una riserva indiana sotto sorveglianza armata, detta “sfera di influenza”, spogliata di sovranità e che non solo non dovrà mai entrare nella Nato, ma neanche nell’Unione europea in uno stato di cosiddetta “neutralità”. Dovrà essere come la Bielorussia di Lukashenko. La scommessa di Mosca si fonda anche sulla teoria secondo cui agli americani non importa assolutamente nulla dell’Ucraina perché le loro priorità restano l’Iran, la Cina e il Medio Oriente.

Ma ecco che entra bruscamente in gioco il Giappone: se la Cina pensa di ottenere la sua oncia di vittoria invadendo Taiwan visto che ai russi è andata bene in Ucraina, noi entreremmo in guerra insieme con l’Australia e altri paesi del Mare cinese del Sud. Ecco, dunque, che la scommessa americana sull’Ucraina cambia profilo: ammetterà Trump di poter abbandonare Kiev al suo destino russo, accendendo così la guerra nell’area del Pacifico? Ma c’è dell’altro: la Cina fa sapere che se fosse la Federazione russa a perdere la guerra e si frantumasse in cento nuovi Stati indipendenti come accadde dopo la disintegrazione degli imperi austroungarico e ottomano, la Cina occuperebbe tutto ciò che della Russia asiatica ritiene suo.

Tutti questi elementi d’instabilità – anche nel Mare del Nord prosegue il confronto navale fra le petroliere della “Flotta fantasma russa” contro navi da guerra della NATO – sembrano eccitati dal fatto che mancano due settimane prima che Trump diventi Commander in chief degli Stati Uniti. Trump è – ancora per pochi giorni – un elemento di instabilità che produce un’accelerazione bellica almeno nelle parole. Il caso ucraino è esemplare: Putin è più irritato che deluso dall’atteggiamento del presidente americano e si è visto ancora una volta quanto il presidente russo sia geloso del ruolo di leader mondiale usando come minaccia il suo arsenale atomico. A una donna che in una conferenza stampa gli disse: “Ma così rischiamo di morire tutti”, Putin rispose: “Vuol dire, signora, che andremo tutti in paradiso”.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.