Nel marzo 2012 Mario Monti mi chiese di “prendere in mano” l’emergenza dei rifiuti a Roma, anche per bloccare una rovinosa procedura di infrazione aperta il 17 giugno 2011 e la conseguente condanna da parte dell’Europa, che avrebbe avuto importanti effetti economici e politici. Il prefetto di Roma Pecoraro, nominato commissario per l’emergenza rifiuti dal Governo precedente, aveva individuato come soluzione la realizzazione di una nuova megadiscarica a Corcolle, in prossimità di Villa Adriana, in contrasto con le direttive europee e le stesse norme nazionali, oltrechè con il buon senso. Infatti la direttiva europea 1999/31 aveva stabilito gli obiettivi e la tempistica per la progressiva riduzione dell’uso delle discariche e la contestuale promozione del recupero di materia ed energia.

Mentre il sito prescelto, in piena area Unesco, era uno schiaffo agli impegni per la conservazione del patrimonio artistico. Mi sono assunto la responsabilità di bloccare la realizzazione della nuova discarica, e dopo un lungo negoziato, il 4 agosto 2012 ero riuscito ad ottenere la convergenza di Regione, Provincia e Comune, sul “Patto per Roma”, che impegnava tutti i firmatari a realizzare
-entro la fine del 2014, il 65% di raccolta differenziata con il recupero e riciclo di materia;
-la riqualificazione dei Tmb della Regione, con l’obiettivo di assicurare almeno il 35% di produzione di combustibile solido secondario (CSS);
-il completamento dell’autorizzazione regionale, bloccata da anni, degli impianti per il trattamento dei rifiuti di Roma e del Lazio;
-la chiusura di Malagrotta, e l’individuazione di una discarica di servizio per i soli residui marginali (non più del 20% dei rifiuti trattati).
-Il patto, sottoscritto anche dai consorzi obbligatori (Conai, Corepla e Comieco) da Acea, Ama, e dalle imprese che facevano capo a Cerroni (E.Giovi e Colari), era diventato norma con due decreti del 7 gennaio e 25 marzo 2013. Pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

I decreti non sono mai stati attuati, ed è singolare che né i Governi né la Magistratura abbiano mai chiesto al Comune ed alla Regione le motivazioni della non applicazione dei decreti, né tantomeno abbiano rilevato le spese sostenute per il trasferimento dei rifiuti in altre Regioni o all’estero, con un costo stimato attorno a 2 miliardi di euro. Ricordo che l’allora ministro Sergio Costa, voce governativa dell’Italia del No, aveva dichiarato nel dicembre 2020 che «non c’è un’emergenza rifiuti a Roma, ma uno stato di sofferenza che già da domani mattina dovrebbe trovare soluzione». L’incendio di Malagrotta ha reso evidente una situazione già insostenibile, ben rappresentata dai cinghiali urbani. Il sindaco ha deciso la costruzione di un termovalorizzatore, ma i tempi di realizzazione sono molto incerti mentre il Giubileo è alle porte.

Nel frattempo l’emergenza rifiuti di Roma si intreccia con la crisi energetica, e con la decisione di riavviare le centrali a carbone già destinate alla chiusura. Nell’emergenza assume un ruolo strategico il combustibile solido secondario Css, perché consente di ridurre il consumo di combustibili fossili di importazione, e assicura il recupero di quantità rilevanti di rifiuti altrimenti destinati all’esportazione da Roma verso altre regioni e all’estero. Le caratteristiche del Css sono stabilite con un decreto del 14 febbraio 2013, che ha fissato standard di produzione e di impiego molto più stringenti delle norme europee, in particolare con limiti molto rigorosi per il contenuto di cloro e mercurio, e per i metalli pesanti (arsenico, cadmio, cromo, nichel, piombo).

L’impiego di Css consente una sostituzione del carbone nelle centrali termoelettriche fino al 20%, e del pet-coke/polverino di carbone nei cementifici fino al 70%, con effetti significativi sull’efficienza del processo di produzione, sulla riduzione delle emissioni, sull’importazione di fonti energetiche primarie. Questa è l’esperienza europea.
L’Italia del No ha contestato per anni l’impiego del Css e il “decreto Clini”, raccontando che i cementifici e le centrali diventavano inceneritori. Ma il Css non è un rifiuto, è un combustibile “end of waste” alternativo ai combustibili fossili, come previsto dalle regole europee. E tuttavia ci sono voluti 8 anni perché il Tar e il Consiglio di Stato confermassero che “l’impiego del Css risulta conforme alle politiche europee per la creazione e promozione dell’economia circolare, nel pieno rispetto della gerarchia europea dei rifiuti”. Di conseguenza il decreto “semplificazioni bis “ ha stabilito che l’impiego del Css negli impianti già autorizzati per la produzione di cemento ed elettricità non è una “modifica sostanziale” e dunque non richiede una procedura autorizzativa con la valutazione di impatto ambientale.

Se a Roma fosse stato prodotto – come previsto dal Patto per RomaCSS in quantità pari al 35% dei rifiuti urbani trattati (circa 700.000 tonnellate/anno) destinato ai cementifici ed alle centrali termoelettriche della Regione, avremmo ottenuto molteplici risultati ambientali ed economici. Assumendo come riferimento lo standard di sostituzione del pet-coke/polverino di carbone nella stessa percentuale della Germania (66%), l’impiego nelle cementerie di Guidonia e Colleferro di circa 250.000 tonnellate/anno di CSS, avrebbe consentito una riduzione
-delle emissioni di CO2 pari ad almeno 850.000/tonnellate/anno, con un risparmio sulla tassa di carbonio applicata dal sistema ETS dell’Unione Europea pari, ad oggi, tra 55 e 65 milioni€/anno;
-del costo di trasporto e smaltimento dei rifiuti di Roma nelle altre Regioni o all’estero per almeno 50 milioni€/anno;
-del costo di approvvigionamento di pet-coke/polverino di carbone per almeno 25 milioni€/anno.

Assumendo come riferimento il tasso minimo di sostituzione del carbone nella centrale Enel di Fusina-Venezia (5-10%), la centrale Enel di Civitavecchia avrebbe potuto impiegare 450.000 tonnellate/anno di Css, con la riduzione
-delle emissioni di CO2 pari ad almeno 1.600.000/tonnellate/anno, con un risparmio sulla tassa di carbonio applicata dal sistema ETS dell’Unione Europea pari, ad oggi, tra 105 e 125 milioni€/anno;
-del costo di trasporto e smaltimento dei rifiuti di Roma nelle altre Regioni o all’estero per almeno 90 milioni€/anno;
-del costo di approvvigionamento di carbone per almeno 45 milioni€/anno.
In attesa del termovalorizzatore, per “pulire” Roma in vista del Giubileo, per ridurre i costi e migliorare la qualità dell’ambiente, il Css è una risorsa strategica. Facciamo ora e subito quello che non abbiamo fatto negli ultimi 8 anni, applicando quanto previsto dalle direttive europee e dal decreto ”semplificazioni bis” del 2021.