Ha scritto Moni Ovadia: «Da oggi siamo più soli, più smarriti, più fragili è stato il mio primo pensiero alla notizia improvvisa della morte di Gino Strada, un uomo giusto. E mi chiedo, chi siamo? Tutti noi che crediamo nel valore integro, sociale della vita umana, tutti noi che ripudiamo radicalmente la guerra e i suoi osceni travestimenti, tutti noi che crediamo con la forza di una fede nella dignità di ogni essere umano, nei suoi inviolabili diritti civili e sociali, che sosteniamo il bene comune come priorità assoluta e riteniamo, pertanto, che il finanziamento pubblico debba essere destinato ad esso, a partire dalla sanità pubblica. La sua voce, quando parlava di questi temi, era unica per autorevolezza, per verità».

Gino Strada e la moglie, Teresa Sarti, assieme, hanno testimoniato il senso sacro della vita; hanno avuto il culto di quella degli altri, prima della propria. Tanto da rendere possibile l’impossibile: salvare milioni di innocenti, soprattutto bambini, devastati da criminali strumenti di guerra (denunciati da Gino nell’angosciante libro I pappagalli verdi). Nelle frontiere più pericolose, a rischio della propria vita, senza protezioni e salvacondotti, con la determinazione (apparentemente paradossale) di prestare le cure a vittime e carnefici. Un’utopia? Una realtà per Gino e Tere e per i tanti volontari di Emergency! «Non sento il bisogno di Dio», ha risposto Gino a una frettolosa intervista: una affermazione (ugualmente paradossale) che deve essere interpretata, meglio verificata nella realtà vissuta, nei fatti concreti.

Gino e Tere, di formazione cattolica, si sono spesi, da laici, senza troppe parole, con la religione del fare, nella immanenza delle relazioni umane; una operatività professionale di assoluta eccellenza, in sé trascendente l’abisso delle brutalità quotidiane delle guerre e delle ingiustizie sociali. La passione incondizionata di Gino e Tere non chiedeva passaporti, o conversioni: rincorrevano la vita dove era maggiormente in pericolo. Difendevano la pace, nella quale ora riposano entrambi. “Gino Strada aveva una formazione cattolica, poi era diventato ateo, comunista e aveva messo la sua vita totalmente al servizio degli altri. Secondo lei, dove si trova adesso?”.

A questa domanda, l’amico, architetto Renzo Piano, ha risposto: “È una domanda difficile, ma di sicuro ha lasciato una traccia… Un esercito di persone si erano riconosciute nella sua visione del mondo: non lo so dove sia Gino ora. Ma certamente una parte di lui è dentro di me». È il miglior traguardo dell’uomo; per i credenti, la missione che Dio ha dato all’uomo, che si realizza solo attraverso le opere. Gino e Tere, hanno ritrovato e testimoniato Dio ogni giorno negli ultimi bisognosi del mondo, lasciando tracce di vita in ciascuno di noi, credenti e non credenti.

La figlia Cecilia ha ricordato: «Una volta eravamo in un centro di cardiochirurgia e parlavamo di come ci si sente quando muore un paziente. Lui mi disse: “Ricordati che prima o poi vince la morte”. Però la morte può vincere una volta sola, la vita ogni giorno. Per mio padre oggi ha vinto la morte, però oggi in tanti altri posti ha vinto la vita». Dobbiamo continuare a far vincere la vita con Cecilia e con i volontari di Emergency, per poter far nostre le ultime parole di Gino: «Ricordatevelo, me ne vado felice».