Letta è andato a casa di Giuseppe Conte, l’altra sera, ha bevuto un drink e poi ha siglato un patto con il capo dei 5 Stelle. Si tratta di un accordo vero e proprio di pre-fusione. I due partiti decidono di presentarsi alle elezioni regionali siciliane, che hanno un fortissimo valore nazionale, svolgendo insieme le primarie e quindi presentando una sola lista e un solo candidato alla Presidenza. Al momento è difficile stabilire se si tratti di una mossa definitiva.

Perché c’è la possibilità che almeno una parte del Pd insorga di fronte a un atto così clamoroso di liquidazione del principale partito della sinistra. Se però l’operazione andasse in porto – e qualcosa di simile sta succedendo anche in Puglia – è chiaro che ci troveremmo di fronte a un clamoroso stravolgimento della geografia politica italiana. La formale sottomissione del Pd al partito di Conte – che comunque è il partito dei 5 Stelle, cioè la versione più moderna e semplificata del tradizionale qualunquismo – pone fine a una storia lunghissima, che ha le radici profonde nelle complesse e ricche vicende del Pci, della sinistra cattolica e di altre forze – modeste ma importanti – del liberalsocialismo.

Se la svendita del Pd non verrà fermata, l’Italia si troverà con un panorama affollatissimo da formazioni di destra e praticamente privo di rappresentanza di sinistra, se si escludono i piccoli gruppi parlamentari di Leu e di Sinistra italiana.

La conseguenza quale sarà? Forse l’unico che potrà guadagnare da questa ammucchiata è Draghi, che avrà meno difficoltà a governare alla guida di un esecutivo sostenuto da partiti tutti orientati a destra. Ma non è detto che le cose saranno così semplici. Perché comunque in questo amplissimo schieramento di destra coesistono forze reazionarie, come appunto i 5 stelle e parte della Lega, e forze di ispirazione liberale e garantista, come Forza Italia e Italia Viva. Non è detto che sia una convivenza facile. E poi c’è il rischio che si crei uno scollamento molto forte con l’opinione pubblica. In Occidente non esistono paesi dove la sinistra ha rinunciato alla rappresentanza in parlamento.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.