Tutti ne parlano, anche se fanno finta di occuparsi poi di altro e più urgente: armi, guerra, il ruolo della diplomazia europea, il bilaterale di Mario Draghi a Washington.
Giuseppe Conte ne avrebbe già parlato con il presidente della Commissione Affari costituzionali Giuseppe Brescia. “Vai avanti con la riforma della legge elettorale in senso proporzionale, quelli del Pd ci stanno”. Brescia ne ha una pronta nel cassetto da tempo. Aspettava solo il via libera. I centristi del centrodestra, i cespugli che non accettano una coalizione a trazione Meloni e Fratelli d’Italia ci sperano. Ma sono anche impegnati a far di conto con il numero dei collegi elettorali e dei posti in Parlamento, ridotti di un terzo, per cui “se non abbiano protezione nelle liste più pesanti, rischiamo di essere travolti con il nostro 2-3 per cento e di restare fuori dal Parlamento”.

Lato Pd, possiamo dire che il tema è molto caldo e sentito. Martedì della scorsa settimana, ad esempio, nella saletta Berlinguer della Camera, è andato in scena il ritrovato orgoglio delle correnti Pd: per la prima volta, ad un anno dalla sua trionfale elezione, hanno dato la linea al segretario Letta su un tema determinante come la legge elettorale. Il punto è che il segretario dem fa finta di prendere appunti, evita così – è il suo stile – lo scontro diretto ma poi quando prende la parola – ad esempio lunedì nell’intervista al Corriere dalla Sera – fa capire che oggi non ci sono né i tempi né le condizioni per portare avanti una riforma della legge elettorale. A meno che non venga fuori che anche il centrodestra alla fine decida di dividere i propri destini e tornare a competere. Manca un anno alle elezioni politiche. C’è tutto il tempo per riscrivere le regole del gioco. Ancora una volta saranno le elezioni amministrative a dire da che parte conviene andare. Tutti ne parlano, quindi, ma l’esito è ancora incerto.

Torniamo al Pd che è stato il primo a fibrillare in modo scoperto sulla legge elettorale. Martedì scorso, con l’accurata regia di Matteo Orfini, tutti i big delle correnti dem, hanno dato il via libera al sistema proporzionale e di fatto hanno mandato l’ultimo avviso all’inquilino del Nazareno. “Attento Letta, che se non cambi legge elettorale, all’ultimo miglio potresti trovarti anche senza Conte” il messaggio sottinteso. Quel giorno tutti i big della galassia democratica hanno preso la parola sul cruciale tema: i tre ministri, Franceschini, Guerini ed Orlando, leader di tre diverse correnti, la capogruppo Serracchiani, Zingaretti, il lettiano Meloni, Andrea Marcucci, Alessandro Alfieri. In tutti gli interventi dei capi corrente è risuonato l’allarme verso il “campo largo” con i 5 stelle e la deriva contiana che nei fatti ormai ha sancito l’esistenza di due Movimenti e due gruppi parlamentari. “Se noi non faremo di tutto per cambiare legge elettorale – è stato il ragionamento – ad ottobre rischiamo di subire l’allontanamento di Conte, che non ha più interesse a stare con noi o, anche peggio di pagare a peso d’oro i collegi affidati al movimento di Grillo”. Sono risuonati scenari che non sono paradossi: “Che succede se Conte ci chiede di dare il collegio Roma 1 al professor Orsini (quello che in Rai ha detto che l’infanzia del nonno sotto il fascismo non è stata infelice, ndr), Milano a Toninelli e Napoli a Michele Santoro?”.

È già, che succede se il partito pacifista, annusando la possibilità di uno spazio e di un dividendo politico, si accasa con Conte che ne sta diventando leader?. Dopo aver, per altro, nei tre anni in cui è stato premier, firmato accordi con la Nato e le grandi aziende del comparto meccanica che producono sistemi d’arma. Il problema dei capi corrente del Pd è che l’alleanza con Conte con l’attuale legge elettorale avrebbe un costo altissimo in termini di collegi. Si tratta, poi, di giocare in anticipo: che succede se a ottobre Conte lascia il governo? Rispetto a questo scenario non lasciano presagire nulla di buono le polemiche di questo mese, i continui distinguo con Letta sulle armi, sulla “postura” tenuta rispetto al dossier Ucraina, sul bonus edilizio e sul termovalorizzatore dove il Pd romano ha strappato ed è andato avanti incurante dei No dei 5 Stelle. Conte ripete quasi ogni giorno che il Movimento non può essere “subordinato a nessuno in nessuna alleanza o coalizione”. Il punto è che non può esserlo neppure il Pd.

Una legge elettorale di tipo proporzionale toglierebbe le castagne dal fuoco a tanti. Potrebbe fare chiarezza anche rispetto a Italia viva e Azione che ribadiscono il loro no a una coalizione dove i 5 Stelle rivendicano addirittura di dare la linea su temi chiave come la politica estera e il cosiddetto “pacifismo”. Non c’è dubbio che il segretario dem in questo momento abbia a che fare con due diverse pressioni che arrivano dal suo partito e dallo scomodo alleato 5 Stelle sempre più diviso in due e con due diverse teste: Conte da una parte, Di Maio dall’altra, filo governativo e in prima linea in quella partita diplomatica che l’Italia non ha mai abbandonato. Ma di cui si parla poco preferendo schiacciare palazzo Chigi e la Farnesina nella sudditanza a Washington e alla Nato. Letta è sotto pressione sul fronte della pace, delle armi e dell’atlantismo. E su quello, appunto, delle regole del gioco elettorale.

Dalla sua, per resistere, il segretario dem ha due argomenti. Il primo riguarda il centrodestra: più litigano Salvini e Meloni, più si parla di “Lega Italia” il partito nuovo che farebbe liste uniche tra azzurri e leghisti e più Letta sa che il Rosatellum non si tocca e che il Pd mantiene saldo il suo potere attrattivo nel cosiddetto “campo largo”. Sta diventando una “figura retorica” scriveva ieri Stefano Folli su Repubblica. E così una legge elettorale per quanto “pessima” – così l’ha definita Letta – può consentire ad una forza politica in buona salute (come il Pd che tiene nei sondaggi) di esercitare un potere attrattivo e garantire la presenza necessaria agli alleati minori. Esattamente quello che succede a Giorgia Meloni nel centrodestra. Non a caso i due leader coltivano buoni rapporti. Ecco perché con buona pace delle correnti Pd e di Giuseppe Conte, la legge elettorale non è una priorità nell’agenda. Almeno fino ad ottobre.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.