Ma quante Europe ci sono? E soprattutto quale Europa funziona e quale no. Partiamo da quella della difesa. Il summit di Londra sembra averle fatto fare uno scatto in avanti. Ma il parto resta di là da venire. Del resto riformare un esercito che A) non sia la fotocopia della Nato; B) sia dotato di dottrina, struttura ed equipaggiamento comuni; C) sia altamente digitalizzato, servono come minimo 15-20 anni. Le spese dei singoli governi non sono omogenee, peraltro. La Polonia chiuderà l’anno con il 4,7% di Pil destinato agli armamenti. Sfiorando così le pretese di Trump del 5%. Mentre chi ha scritto la storia delle guerre d’Europa – Germania, Francia, ma anche Spagna e Italia – resta sotto il 2%. Infine, la regina delle contraddizioni: la guida di questa sicurezza comune europea sembra che sarà britannica. Ovvero di chi l’Europa l’ha mollata.

Cosa non funziona in Europa

Però non è questa l’Europa che davvero non funziona. L’Europa inceppata sta invece a Bruxelles. Ed è quella delle politiche industriali che hanno smantellato un manifatturiero che aveva tutte le carte in regola per essere competitivo con Cina e Stati Uniti. È quella che ha bollato gli agricoltori come i responsabili del climate change. Spingendoli così a votare quei partiti euroscettici che, tra le loro fila, annoverano elementi – per quanto isolati – di un estremismo che si pensava superato. E contro il quale era nata l’Europa stessa, intendiamoci! È l’Europa dell’establishment. Con suoi oltre 60mila dipendenti – tra Parlamento, Commissione, Consiglio Ue, Corte di giustizia, Bce, agenzie specializzate, sedi diplomatiche e uffici di rappresentanza.

La casta di privilegiati

La lista è lunga e il dato è certamente approssimativo – per quanto competenti e autorevoli, si tratta di un mondo visto come una casta di privilegiati che, senza essere stati eletti, si permettono di scrivere il destino dei lavoratori e degli imprenditori di questo Vecchio continente. Agli occhi del cittadino europeo, quello della strada, che ancora crede che il cambio lira-euro sia stata una fregatura, questa Europa paga fior fiori di studi per dimostrare una tesi che ha già in tasca, disprezza le lobby, ma poi di queste i suoi corridoi è trafficata. È l’Europa dei regolamenti. Della leggendaria “curva delle banane”. Correva l’anno 1994. Del Green Deal e delle politiche energetiche convintamente direzionate sulla rinuncia alle fonti fossili senza però avere in tasca un Piano B. Facile per un Trump qualunque darle addosso. Come del resto è difficile pensare a come cambiarla. Una burocrazia, per semplificarsi, ha bisogno di un piano. Di una procedura.

Dalla Bce all’Europa di Schengen: l’intermittenza

E poi c’è un’Europa che va a intermittenza. Ed è quella dell’euro. La moneta unica funziona, ma la Bce è spesso all’indice. Le si imputa che le politiche monetarie dovrebbero andare di pari passo con l’economia reale. Ma anche qui vige l’obiezione per cui chi ne sa di più: l’eletto a Strasburgo o l’economista a Francoforte? Ancora l’Europa di Schengen, che va benissimo nella quotidianità degli scambi commerciali e della circolazione di cittadini europei, ma si arresta quando si parla di sicurezza e flussi migratori. I recenti attentati in Germania hanno messo a dura prova quella che resta una conquista storica del nostro continente. Ci sono voluti secoli e una lunga serie di guerre prima di poter viaggiare da Roma a Vienna senza passaporto. Il guaio è che ci siamo dimenticati di questi dettagli.

Erasmus nelle Istituzioni

Però c’è anche un’Europa che funziona! Ed è quella degli studenti che possono contaminare il proprio percorso universitario e scolastico in altri Paesi. È il progetto Erasmus+ che, dal 1987 a oggi, ha coinvolto oltre 15 milioni di studenti e permette una circolazione di conoscenza anch’essa inimmaginabile fino a pochi decenni fa. Si studia, si va all’estero, si apprendono metodologie differenti, si torna ed entrando nel mondo del lavoro si mettono a fattore queste esperienze. È così che nasce una classe dirigente – di nuovo, un establishment – per la quale la diversità è un punto di forza. Il problema è che, molto spesso, questa ricchezza si limita a rimanere nella sfera privata. Ovvero delle relazioni personali (famiglie e amicizie), del mondo del lavoro e delle imprese. Mentre le istituzioni restano estranee e vanno a costituire un’Europa che non si capisce.