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L’Europa funziona solo se è Unione, eppure molti leader e partiti ritengono che ogni paese possa negoziare per sé
Gli interessi nazionali non sono in conflitto con quelli dei vari partner europei

L’Unione europea è sotto pressione. Sia da Oriente con Putin che da Occidente con Trump, si tenta di disarticolare la Ue e incrinare i fragili equilibri su cui si fonda la coesione delle élite politiche europee. Va da sé che Stati Uniti e Russia non possono essere messi sullo stesso piano: i primi sono una democrazia, la seconda un’autocrazia.
Tuttavia condividono un obiettivo: indebolire e mettere in discussione i vincoli reciproci dell’interdipendenza su cui si basano i legami tra i membri dell’Unione. Trump rifiuta il multilateralismo, coerentemente con l’idea di un’America svincolata da obblighi internazionali, convinto che accordi e alleanze debbano essere rinegoziati su base bilaterale o regionale. E ciò allo scopo di rafforzare il potere negoziale statunitense e, al contempo, dividere i rivali. Putin, invece, punta a minare la coesione europea per riaffermare la propria influenza sull’Europa orientale, sia sostenendo posizioni filorusse sia manipolando l’opinione pubblica con disinformazione e fake news.
All’assedio esterno si aggiunge il tentativo – da parte di partiti e leader sovranisti – di svuotare dall’interno il progetto di integrazione europea, ridimensionando molte delle competenze e dei poteri acquisiti dalle istituzioni sovranazionali. L’obiettivo è trasformare l’Unione in una semplice organizzazione di cooperazione interstatale, con assetti sovrastatali minimi o marginali, abbandonando la prospettiva di un’integrazione unitaria che includa anche i paesi attualmente in lista d’attesa. Il sovranismo – inteso in senso generico come la volontà di ripristinare le singole sovranità nazionali – si oppone ai trasferimenti di potere alle istituzioni comunitarie, anche quando questi riguardano politiche che, per natura e scala, superano le capacità di azione dei singoli Stati. Questa sorta di alternativa popolare all’europeismo ha trovato in Trump un alleato formidabile: le sue parole d’ordine risuonano in Europa, trovando orecchie attente e pronte ad assecondarle. Alla base di questa visione vi è la convinzione – del tutto illusoria – che i singoli paesi possano perseguire i propri obiettivi negoziando esclusivamente in nome dei loro interessi nazionali, ritenendoli in conflitto con quelli degli altri partner europei.
Tutti questi segnali sembrano indicare la fine di un ciclo politico caratterizzato dall’apertura del sistema internazionale e dalla sua organizzazione attraverso istituzioni multilaterali, che hanno consentito agli Stati europei di avviare il percorso di integrazione sotto l’egida e la tutela dell’ordine globale guidato dagli Stati Uniti. È stata la superpotenza egemone uscita vittoriosa dalla Seconda guerra mondiale a permettere all’Europa di proporsi come una potenza gentile, capace di tutelare i diritti politici, civili e sociali che danno senso alla nozione di cittadinanza. Oggi questo ciclo sembra giunto al termine.
Con la presidenza Trump si delinea una ridefinizione degli equilibri geostrategici, mettendo in discussione i princìpi e le istituzioni che hanno regolato il sistema internazionale dal secondo Dopoguerra. Proprio questo sistema, imperniato sulla leadership statunitense, non solo ha reso possibile ma ha attivamente promosso il processo di integrazione europea. Il neoisolazionismo salito al potere negli Usa, unito alle altre sfide già menzionate, rischia di infliggere un colpo mortale alla già fragile costruzione europea. Un pericolo che non deriva solo dalla forza di chi considera l’Unione un rivale, un avversario o persino un nemico, ma anche dalla debolezza delle istituzioni chiamate a governarla e dall’assenza di una visione lungimirante sul suo futuro.
Se vuole resistere alle molteplici pressioni che la assediano, l’idea europeista deve delineare con chiarezza la propria prospettiva e trasmettere un messaggio di ampio respiro sul modello di Europa che intende costruire. Questo richiede, innanzitutto, una narrazione capace di valorizzare alcune delle sue conquiste fondamentali, oggi messe in discussione: dalla tutela del clima alla difesa dei diritti umani, fino alla promozione di un approccio multilaterale e cooperativo nelle relazioni internazionali. È essenziale riaffermare la necessità di un equilibrio tra la dimensione sociale e quella economico-finanziaria dell’Unione, affinché non siano solo il mercato e la finanza a dettare le regole.
Tutto ciò deve avvenire in un contesto di integrazione differenziata, in modo da rispettare da un lato le esigenze dei paesi che vogliono limitarsi alla cooperazione economica transnazionale, e dall’altro permettere a quelli favorevoli a un’integrazione politica più marcata di procedere in tale direzione. Solo un’Europa forte, integrata e capace di decisioni democratiche – senza essere ostaggio di continue trattative intergovernative in cui ogni Stato si misura con gli altri – potrà affrontare le sfide del futuro e resistere alle forze che la minacciano.
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