L’intensificarsi in questi giorni degli sbarchi sta riportando, all’attenzione dell’opinione pubblica, il problema dell’immigrazione. E, di conseguenza, si sono moltiplicati, ed ancora di più lo saranno nei mesi a venire di campagna elettorale, gli interventi dei politici su questo argomento.

Inevitabilmente su tale tema, che si presta facilmente a reazioni umorali, si concentrerà un tasso di irrazionalità crescente, proporzionale alla drammaticità delle domande sul futuro. Cosa avverrà? Vi sarà una “sostituzione” dei popoli che oggi abitano i paesi più ricchi da parte dei nuovi arrivati o una armonica integrazione di questi ultimi nella popolazione precedente? Certamente molto cambierà. Di fronte a stravolgimenti epocali, come quelli determinati dai cambiamenti climatici o da situazioni di indigenza insopportabile, è inevitabile l’innestarsi di fenomeni biblici di migrazione, capaci di frantumare qualsiasi frontiera. Potranno, forse, restare estranee al fenomeno alcune enclaves appartate, ma certamente non l’Italia e gli altri paesi europei, che si affacciano sul Mediterraneo, troppo esposti per potersi chiudere. L’unica prospettiva plausibile, perciò, è quella di cercare di governare il fenomeno. Chiudersi può essere possibile per brevi periodi, ma al costo di una pressione destinata ad aumentare e con il rischio di esplodere. Premessa indispensabile, per cercare di attuare una azione efficace, è l’eliminazione di tutti gli equivoci, che in buona o cattiva fede, sono stati accumulati su questa materia.

Il primo di essi è la distinzione, spesso invocata per gestire il fenomeno, tra aventi diritto all’asilo e migranti economici. La distinzione certamente esiste nei fatti. Tuttavia, nel fenomeno migratorio in atto le due categorie si mischiano completamente, diventando un tutt’uno omogeneo: come si fa a distinguere in un barcone che affonda chi ha diritto all’asilo e chi no? E, ancora, come si fa a distinguere chi è perseguitato e chi non riesce a dare da mangiare ai propri figli? Del tutto velleitario, perciò, pensare di governare il fenomeno facendo perno su questa distinzione. Un altro equivoco, che rasenta il grottesco, è quello di presentare la materia come se fosse di competenza degli azzeccagarbugli. Non vi è intervento sul tema che non citi il testo della Convenzione Sar (Search and Rescue) del 1979 e la nozione di porto sicuro. Da un lato, vi è chi afferma che il testo della Convenzione è tale da assicurare protezione anche a chi si sia messo in mare sapendo di andare incontro a un possibile naufragio. Dall’altro, vi è chi afferma che la Convenzione non è stata scritta per dare risposta a un fenomeno quale quello migratorio. Ma si tratta di una prospettiva misera, che, come massimo risultato, ha prodotto l’incriminazione di Salvini per sequestro di persona.

Alla strumentalizzazione del fenomeno migratorio per fini elettorali si è data risposta con un’altra strumentalizzazione: l’utilizzo del fenomeno migratorio per far fuori l’avversario politico per via giudiziaria. Per rendersi conto di quanto sia insoddisfacente ridurre il problema a una questione di codicilli, basta farsi una domanda: se non ci fosse la Convenzione Sar sarebbe legittimo lasciar morire i migranti in mare? Certamente no! Per l’esistenza nella specie umana, e non solo, di un valore di solidarietà che gli egoismi individuali non riescono a cancellare. Ecco perché ridurre il problema a una questione di norme significa immiserirlo. Del resto, l’angustia e l’inadeguatezza di una tale prospettiva e la contraddittorietà delle conseguenze sono testimoniate dalla recente decisione di un giudice tedesco, che ha negato l’espulsione in Italia di un immigrato clandestino per non essere l’Italia un porto sicuro.

Una questione, rispetto alla quale vi è una particolare attenzione a non fare chiarezza, è quella legata alla prospettiva internazionale, e in particolare europea, del fenomeno migratorio. Il comune punto di partenza è che l’Europa ha lasciato soli i paesi del sud, tra cui l’Italia, a fronteggiare le ondate migratorie. Vi sono, poi, coloro che ritengono che l’Italia, come gli altri paesi del nord, debba chiudere, costi quel che costi, le frontiere e coloro che sperano che prima o poi si giunga a una solidarietà tra i paesi europei. In realtà non è corretto il punto di partenza. Il problema migratorio è già un problema comune a tutti i paesi europei. In Svezia, la vita delle città è sconvolta da una criminalità organizzata di origine essenzialmente migratoria. La Germania ha accolto un milione di siriani, che hanno messo a dura prova la tenuta del sistema sociale. La Francia, per il suo passato colonialista in Nordafrica, ha una presenza estremamente cospicua di immigrati. In Belgio, alcune città registrano l’esistenza di interi quartieri in cui la legge applicata è la sharia. Inoltre, coloro che sbarcano nei paesi del sud dell’Europa molto spesso sono diretti, riuscendovi nella maggior parte delle volte, verso i paesi del nord.

Una prova recente è offerta dalla questione, venuta alla ribalta, degli sbarchi di immigrati in Inghilterra provenienti dalle coste della Francia. I quali, evidentemente, sono coloro che, come prima tappa, sono sbarcati nei paesi del sud. La vera questione, dunque, non è quella della assenza dell’Europa che lascia soli i paesi del sud, ma quella di una Europa che non riesce ad avere una politica comune, lasciando spazio al velleitarismo di alcuni stati di voler gestire a livello nazionale un fenomeno che non conosce frontiere. In una situazione del genere, è inevitabile che siano molti ad essere irritati da quelle Ong, che armano navi battenti bandiera di paesi del nord Europa, ma che poi scaricano i migranti salvati nei paesi del sud, pretendendo di dare lezioni di moralità.

Infine, un tema, tenuto anch’esso il più possibile nella nebbia, è quello dell’impatto, che ha sulla società italiana, il fenomeno migratorio. Le Olimpiadi di Tokyo, appena concluse, hanno dato una evidenza incontestabile all’arricchimento che esso è capace di dare al paese intero. La nazionale più multietnica di sempre è quella che ha vinto più medaglie di sempre. Questo non toglie, tuttavia, che il sistema Italia, a cominciare da quello sanitario, viene ad essere sottoposto, dal fenomeno migratorio, ad una pressione capace di metterlo in crisi. La conseguenza è un peggioramento della vita degli ultimi, che apre problemi sociali, che non possono essere risolti negandone l’esistenza. L’immigrazione ha dato, alla questione sociale, una dimensione nuova, che richiede per la sua soluzione non solo risorse notevoli, ma anche e soprattutto una capacità di governo straordinaria. Che è il contrario della condotta di chi nega l’esistenza del problema.

Infine, ma non ultimo per importanza, vi è il tema della criminalità. Su questo punto va, innanzitutto, detto che la globalizzazione ha abbattuto i confini nazionali anche per i criminali. Basti pensare a fenomeni come lo spaccio di droga o lo sfruttamento della prostituzione. Il recente attacco ai sistemi informatici della Regione Lazio è una ulteriore prova di quanto poco valgano i confini per la criminalità. È innegabile, tuttavia, che l’immigrazione, con il carico di disperazione che l’accompagna e con le differenze di cultura che porta con sé, introduca un tasso di violenza e di pericolo percepiti, che occorre affrontare nella sua specificità.

Negarne, come a lungo si è fatto, la rilevanza ha anche facilitato l’insediamento di mafie, come quella albanese o quella nigeriana, che colpevolmente sono state troppo a lungo ignorate. L’immigrazione in atto è un fenomeno epocale, che è velleitario tentare di arrestare e di cui è colpevole ignorare l’impatto, che è destinato ad avere sulla società. Questo impatto rischia di essere devastante se il fenomeno non sarà gestito con onestà intellettuale, con lucidità e con politiche di lungo respiro.