“Assalto” alla Sala dei Baroni
Liste civiche, a Napoli la sinistra ha già tradito le promesse

Pare che le elezioni napoletane avranno, tra Comune e Municipalità, più di 10mila candidati. Si tratterebbe di un candidato ogni circa 90 abitanti. La politica fatta dalla massa è il crepuscolo della politica di massa. Vuol dire che nella terza città di Italia non si crede più nel voto di opinione e si punta tutto sul voto personale. Più candidati ci sono e meglio è.
A questo risultato concorre una pessima legge elettorale che favorisce la frammentazione, come ha spiegato bene Raffaele Ambrosino su queste colonne, per cui, per esempio, l’imperdibile progetto politico Ce simme sfastiriati nel 2016 ebbe un consigliere con poco meno di 6mila voti e l’1,58% dei voti, mentre i Cinque Stelle ne presero solo due con il quintuplo dei voti. E così, in media, le liste presentate al Comune di Napoli negli ultimi decenni sono una trentina, con il record delle quarantuno del 2016, in sostanza eguagliato dalle quaranta attuali. Intendiamoci: la situazione di Napoli non è molto diversa da quella di altri Comuni. Un difetto della sistema attuale è infatti quello di spingere i candidati, soprattutto i favoriti, a tentare di vincere al primo turno, perchè al secondo le persone seguono poco o punto le indicazioni di partito o del loro riferimento politico e per di più disertano largamente le urne, con l’effetto di dar luogo a esiti imprevedibili.
Si comprende bene allora la valutazione da Francesco Barbagallo, espressa su queste colonne, secondo cui questa mobilitazione è sostanzialmente malata, tra la lotteria, il concorso pubblico e i trasformismi incessanti dei sistemi politici locali. La cosa più grave, però, è che anche i candidati più ambiziosi, espressione di prestigiosi ingressi “laterali” dalla società civile, si adeguino subito all’andazzo. Appariva molto condivisibile l’opinione di Marco Sarracino, segretario metropolitano del Partito democratico, quando affermò che «la presentabilità di una coalizione che deve essere sicuramente larga ma che deve godere di una semplificazione della propria offerta politica. Non possiamo presentarci agli elettori con una coalizione in cui noi stessi faremmo fatica a trovare il simbolo del Partito democratico sulla scheda elettorale». L’affermazione dovrebbe valere per ogni grande o medio partito nazionale che si rispetti. Sarracino formulò anche condivisibili critiche al falso civismo e al “turismo” elettorale.
Gaetano Manfredi subito riprese quello spunto trasformandolo in impegno: «Io penso che dobbiamo tornare a una ricomposizione della rappresentanza politica in grandi famiglie, non immagino un consiglio comunale civico, altrimenti sarebbe liquido. Ma questo implica che i partiti debbano fare liste forti. Se una civica batte una forza politica di chi è la responsabilità?» È andata esattamente all’opposto, tanto che Sarracino fissa l’asticella di un buon risultato per il Pd al 15%, un punto in più dei soli Democratici di Sinistra nel 2006. Il simbolo del partito è esattamente confuso tra le tante pseudo-civiche, le quali non rappresentano affatto “grandi famiglie politiche” e neanche famiglie politiche medie o piccole, ma semmai l’orticello di qualche micronotabile di centro o trasfuga della destra, e fatte a misura di sua elezione. Fino alle elezioni del 2006, le liste erano molte ma corrispondevano a soggetti politici riconoscibili, per quanto spesso medi o piccoli, rappresentando una “partitinocrazia” (espressione di Miriam Mafai) o la democrazia dei “nanetti” (Giovanni Sartori).
Poi, con l’avvento di Luigi de Magistris e la liquefazione nazionale dei partiti, sono proliferate vere e, più spesso, false civiche e oggi viene quasi da ridere a leggere i nomi di civiche quasi indistinguibili come Bassolino per Napoli, Con Napoli, Bassolino sindaco, Napoli è Napoli, che omettono lo sforzo di individuale anche solo un sostantivo o un aggettivo, anche il più generico possibile, che dia il senso di un collante e di un progetto. Nessun candidato è pertanto estraneo al discorso che, tuttavia, dovrebbe riguardare tanto più chi ha seminato aspettative maggiori e preso impegni su questo piano e che chi si candida con maggiori chances alla guida della città. E, del resto, quale Consiglio comunale può nascere da una simile offerta politica, frutto di risse, beghe, rese dei conti, giochi di correnti, spaccature, giravolte e interferenze?
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