«La politica è scomparsa, come sono scomparsi i partiti. Oggi si può parlare di un’attività parapolitica svolta per lo più da persone che hanno interessi personali, di gruppo, di clan o familiari. Questa è la realtà ed è una realtà tragica»: ecco l’impietoso ritratto di Napoli delineato dallo storico Francesco Barbagallo.  

Professore, la politica non esiste più e nemmeno i partiti: è da qui che nasce il civismo esasperato che abbiamo visto negli ultimi mesi?
«Di società civile intesa come migliore di quella politica si cominciò a parlare all’inizio degli anni Novanta, ma la verità è che non c’è differenza tra società civile e società politica. Non c’era nel Novecento e non c’è oggi. Si tratta di un miscuglio di forze che vanno analizzate con attenzione ma senza esaltazioni di parte. La società civile esprime la società politica e hanno caratteristiche simili: sono delle forme retoriche che sostanzialmente non significano niente. Quando parliamo di civismo, parliamo di personalità che non hanno avuto alcuna esperienza politica e la società attuale non vive esperienze politiche ormai da 25 anni».

Nella composizione delle liste rese note pochi giorni fa, spicca l’elevato numero di candidati alla prima esperienza politica. Allo stesso tempo si nota la presenza di molti avvocati, medici e insegnati. Cosa vuol dire?
«Che la maggior parte dei candidati è in cerca di una posizione sociale. Ci saranno tra loro anche medici, avvocati e altri professionisti ma c’è un dato che deve far riflettere: a Napoli i candidati per le comunali e per le elezioni circoscrizionali sono mille, se non di più. La maggior parte di loro è in cerca di una collocazione sociale, di una sistemazione e di un guadagno. Questo perché l’attuale forma della politica offre la possibilità di accedere a fonti di reddito significative attraverso elezioni e nomine nelle partecipate. Il denaro che circola negli enti locali è una quota significativa alla quale aspira la massa di persone che non ha redditi sufficienti e che cerca in questa forma spuria di attività cosiddetta politica un sussidio per poter vivere e, in alcuni casi, per poter vivere molto bene. Insomma, di questi mille, cento saranno pure professionisti ma gli altri 900 sono persone che non hanno arte né parte».

Quindi rischiamo di avere un’amministrazione composta sì da professionisti, ma non da professionisti della politica?
«Esatto. E la cosa mi fa stare tutt’altro che tranquillo. Queste persone non hanno mai svolto alcuna attività politica, non hanno mai espresso un’ idea che li qualifichi come persone all’altezza di essere considerati un ceto politico dirigente. Questa non è una nuova classe dirigente: nel migliore dei casi c’è una disponibilità encomiabile di alcune persone disposte a svolgere un ruolo pubblico e perciò vanno ringraziate, ma mi riferisco a un numero molto esiguo di candidati. Non sono loro che danno il senso a questo momento. Il senso a questo momento è dato dalla massa di “strascina faccende” che cercano una sistemazione».

Per avere una squadra competente, invece, in cosa dobbiamo sperare?
«Napoli è piena di persone competenti, il problema è che questa politica li fa scappare. Naturalmente può anche darsi che una volta definitasi una situazione amministrativa chiara, il sindaco eletto possa fare una proposta di giunta seria. Questo dipenderà da chi sarà il nuovo sindaco e dalla sua capacità di riuscire a scegliere 15 validi tra quei mille che si sono proposti, senza farsi condizionare dai gruppetti di persone interessate che giocano tutto sulla loro presenza nell’amministrazione».

Chi sarebbe il candidato sindaco giusto per operare questa scelta responsabile e liberare Napoli dall’esercito dei “senza arte né parte” in cerca di un posto e di uno stipendio?
«Preferisco non dire pubblicamente a chi darò il mio voto. Dico però che sono sempre stato di sinistra».

Allora parliamo della sinistra. Una parte ha dichiarato di sostenere Antonio Bassolino, mentre i vertici del Pd hanno stretto un’alleanza con il Movimento Cinque Stelle. Che ne pensa?
«Innanzitutto non mi è piaciuto lo schiacciamento dei democratici su questo pseudo-movimento. Penso che il Movimento Cinque Stelle sia composto da mentecatti e da analfabeti: non ho nessuna stima del Movimento e dei suoi dirigenti. E, come diceva Peppino De Filippo, “ho detto tutto”».

La destra non sta meglio. La rissa tra Marco Nonno e Pietro Diodato al momento della presentazione delle liste è solo l’ultima triste vicenda di un’area politica della quale a Napoli, forse, rimane poco o nulla.
«Io ero consigliere comunale del Partito comunista e ho interloquito con i consiglieri dell’allora Movimento sociale. Lavoravamo anche insieme e personalmente ho avuto ottimi rapporti con Antonio Rastrelli e altri consiglieri missini. D’altronde Giorgio Almirante partecipò alle esequie di Enrico Berlinguer e fu accolto da Giancarlo Pajetta che, a suo tempo, disse di aver chiuso il discorso con i fascisti il 25 luglio. Come tutti quelli che hanno fatto politica in altri tempi, considero gli avversari non dei nemici, soprattutto quando sono portatori di progetti e di idee. Quello che manca oggi alla destra è proprio una progettualità. Vedo una destra priva di idee e formata, a volte, da pubblici ministeri. Credo che i pm si debbano ritirare dalla politica: hanno fatto più danni che altro, si limitino a fare i magistrati seriamente e rinuncino alla politica oppure abbandonino definitivamente la magistratura e si mettano a fare politica. Intendo dire che non devono chiedere l’aspettativa, come pure ha fatto un pm che si è candidato a sindaco qui a Napoli, ma devono lasciarla per sempre e proprio qui credo che sarebbe stata più opportuna la candidatura di Sergio Rastrelli».

Professore, alla luce di tutto questo, c’è una speranza per Napoli?
«C’è sempre speranza. In questo momento storico la speranza per Napoli sono i cittadini che andranno al voto: quando fu eletto Luigi de Magistris andò a votare solo il 35% degli aventi diritto; se oggi avessimo il 60% di napoletani alle urne, allora sì, ci sarebbe ancora una speranza».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.