Il ritorno della guerra sul suolo europeo e il disimpegno degli Stati Uniti dal vecchio continente hanno riaperto il dibattito sulla difesa comune. L’idea che il riarmo sia un passaggio necessario verso l’integrazione politica dell’Europa si sta rapidamente imponendo.
Ma è davvero così? È credibile pensare che la rincorsa all’armamento nazionale – ciascuno per sé, Germania in testa – possa diventare il motore dell’unità europea?

Sicurezza sociale o militare?

Nel frattempo, cresce il timore che il potenziamento militare venga pagato con un ridimensionamento del welfare. Il rischio è che ogni euro destinato a difesa venga sottratto a scuola, sanità, pensioni. E così, nel discorso pubblico, si consolida un’alternativa apparentemente ineluttabile: sicurezza militare o sicurezza sociale. Da un lato, i difensori dello Stato sociale denunciano i rischi di una nuova corsa agli armamenti e, spesso, sposano un pacifismo nobile ma disarmato, privo di risposte realistiche in caso di minacce concrete. In alcuni casi, questo pacifismo si trasforma in ambiguità, fino a diventare indulgente verso il Cremlino. Dall’altro lato, c’è chi ritiene inevitabile tagliare la spesa sociale per rafforzare le forze armate.

Consapevolezza

Per alcuni è un sacrificio necessario; per altri, una svolta desiderabile: un pretesto per ridurre un welfare considerato troppo generoso. Ma questa contrapposizione è fuorviante. Non siamo costretti a scegliere tra diritti e difesa. È una dicotomia tossica, utile solo a chi vuole indebolire l’Europa dall’interno – o dall’esterno. Presentare il rafforzamento della difesa come alternativa alla tenuta sociale significa accettare una retorica populista e divisiva, che finisce per colpire proprio i principi che si vorrebbero difendere. L’Europa ha bisogno di maggiore sicurezza, ma non può permettersi di perdere sé stessa lungo il cammino. Come ricordava Eisenhower, ogni arma costruita è, in ultima analisi, un furto a danno di chi ha fame o freddo.

Nessun abbandono sociale

La sicurezza non può significare abbandono sociale, né può tradursi in una sudditanza industriale verso il complesso militare americano.
Serve una vera difesa europea: integrata, autonoma, capace di sviluppare tecnologie civili e militari a duplice uso. Ma per costruirla serve prima l’Europa, non il riarmo. Non la rincorsa solitaria di Berlino, non l’illusione che basti comprare armi americane per diventare più forti. La forza dell’Europa non è mai stata nella potenza, ma nell’esempio: diritti, apertura, cooperazione, Stato di diritto. Serve prima l’Europa.
Quella politica, federale, solidale. Per realizzarla occorrono una politica fiscale comune, una politica estera condivisa, una vera difesa integrata. Si chiama Europa. Ma oggi non c’è. E non nascerà certo sotto le bombe del marketing militare.