È stato molto triste il 1° maggio appena trascorso. Molta retorica, l’annuncio di grandi patti per la ripartenza, ma la realtà è un’altra. Il diritto al lavoro si è dissolto, liquefatto in una tragedia sociale che appare essere, sempre di più, di una profondità devastante. L’emergenza Covid-19 ha fatto saltare tutte le finzioni, ed è emersa la nuda realtà di un’Italia debole, impaurita e con sempre meno speranza. Soprattutto, di una Italia senza progetti. Basta riflettere che il governo ha pensato subito a dichiarare l’emergenza, in modo da poter limitare a discrezione la libertà delle persone, ma ha atteso il culmine della tragedia per pensare alla necessità di assicurare al paese, e prima ancora agli stessi operatori sanitari, la possibilità acquistare le mascherine! Chi non è restato amareggiato nel vedere che in Spagna le mascherine, appena scoppiata l’emergenza, sono state distribuite gratis dalla polizia?

Ma torniamo al tema del lavoro. Il paese sta morendo ed occorre riaprire al più presto le attività produttive per salvare il salvabile. Ma questo significherebbe fissare limiti, condizioni, coordinare, organizzare i controlli, in una parola progettare. Molto più semplice chiudere tutto. Ma anche con riguardo al dopo, ed è l’aspetto ancora più deprecabile, manca una qualsiasi visione del futuro. Sono tutti concordi nel ritenere che, dopo la pandemia, il mondo non sarà più lo stesso ed egualmente tutti concordano che uno degli aspetti di novità sarà l’accelerazione nell’uso delle nuove tecnologie, imposta dal Covid-19.

Questa accelerazione avrà due conseguenze. La prima, cui qualcuno ha accennato, è che il cosiddetto digital divide avrà un peso molto maggiore nelle prospettive di vita di chi è restato fuori o ai margini del progresso tecnologico. Già oggi, in un silenzio generalizzato delle istituzioni, il ricorso alle lezioni on line ha significato l’estromissione dall’apprendimento di un numero enorme di studenti. C’è qualche idea per l’oggi e per l’immediato futuro per far recuperare questo gap, che altrimenti diventa irreversibile? Il totale silenzio su questo tema è indegno per un paese civile e moderno, quale pretende di essere l’Italia.

La seconda, di cui non si è occupato nessuno, è che il salto in avanti nell’uso della tecnologia comporterà una riduzione dei posti di lavoro. Intere filiere resteranno devastate dalla brutalità del passaggio alle nuove tecnologie: l’uso massiccio di internet accentuerà la disintermediazione; si moltiplicheranno le operazioni che possono essere fatte a mezzo del computer (si pensi già oggi alle operazioni bancarie); il lavoro a distanza ridurrà i movimenti ed inciderà su tutta la filiera del trasporto; la informatizzazione di molte procedure e l’applicazione alle stesse dell’intelligenza artificiale ridurrà drasticamente il numero degli addetti necessari.

Il Covid 19 ci sta costringendo, di fatto, ad entrare nel futuro con una accelerazione drammatica e senza avere il tempo di assorbire ed attutire il colpo. Il mondo, per andare avanti, sta già adesso adattandosi ad un nuovo modo di pensare e di produrre. Così, quando usciremo dalla tragedia dell’oggi ci troveremo tra le rovine del mondo che è stato. Tutto questo richiederebbe con urgenza un progetto per il futuro. Che immagini in quale direzione debba andare la società italiana: occorre premere l’acceleratore sulle grandi imprese tecnologiche? O spingere sulla valorizzazione della qualità del buon vivere italiano? O bisogna pensare ad un paese che si regge sull’elemosina? Ebbene, non c’è traccia di un qualsivoglia progetto.  C’è solo l’uso di facebook per le comunicazioni del presidente del Consiglio e dei like che riesce ad ottenere.