L’economia britannica stenta a riprendersi dallo shock del lockdown: lo dimostrano i dati sul prodotto interno lordo, cresciuto nel mese di agosto a un ritmo pari a meno della metà di quanto anticipato. Il rimbalzo rispetto a luglio si è limitato a un 2,1%, contro il 4,6% previsto in media dagli analisti. Significa che la ricchezza nazionale resta di un buon 10% al di sotto dei livelli pre-Covid. Sono numeri particolarmente pesanti, perché proprio in agosto la diminuzione dei contagi e gli interventi del governo a supporto dei servizi di ristorazione e ospitalità e di altri settori particolarmente colpiti dalla pandemia sembravano aver riportato un po’ di fiducia. «Considerando anche sondaggi recenti che registrano un indebolimento delle attività in settembre e il potenziale effetto di nuove chiusure, i dubbi sulla sostenibilità della ripresa nell’ultima parte dell’anno sono in aumento», ha detto alla Bloomberg Dean Turner, economist della UBS Global Wealth. La sterlina, nella mattinata di venerdì, ha reagito tornando a perdere terreno. Potrebbe continuare a farlo per tutto il resto di quest’anno e oltre. Oggi vale circa l’8% in meno sull’euro, rispetto al febbraio scorso.

L’economia d’Oltremanica deve fronteggiare minacce multiple. I casi giornalieri di Covid-19 puntano verso quota 20mila e da oggi entrano in vigore nuove restrizioni decise dal governo per contenere il dilagare del virus. Potrebbero protrarsi per i prossimi sei mesi, avverte il governo. Il premier Boris Johnson è sempre più nel mirino. Le critiche alla sua strategia per l’emergenza sanitaria sono feroci, all’interno del suo stesso partito, e fanno temere instabilità politica. Intanto le aziende devono prepararsi a fronteggiare dazi, maggiori costi logistici e rallentamenti doganali a partire dal gennaio del prossimo anno, nel caso in cui la Gran Bretagna esca unilateralmente dall’Unione europea senza un accordo che le garantisca un accesso privilegiato al mercato unico. C’è poco tempo per raggiungerlo. Il nodo principale resta il confine con l’Ue nell’isola d’Irlanda. Anche il risultato delle elezioni Usa si intreccia con la trattativa: Joe Biden ha annunciato che in caso di vittoria condizionerà ogni patto commerciale con Londra a garanzie precise sulla pace in Irlanda del Nord. Con il coronavirus a dominare sui media, la Brexit è uscita dall’attenzione dell’opinione pubblica.

Ma resta un tema rilevante. Secondo Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, «un’uscita senza accordo rappresenterebbe un rischio per gli asset britannici ma, in uno scenario estremo, anche per la tenuta politica dell’Ue». Entrambi i rischi sono sfumati dalla recessione globale «che potrebbe diluire gli effetti specifici anche di una Brexit dura». La Banca d’Inghilterra, nel frattempo, è pronta ad aumentare lo stimolo monetario. Secondo l’economista Turner, «in novembre potrebbe decidere di allargare il suo programma di acquisto di titoli». In seno al comitato direttivo si sta addirittura discutendo se sia il caso di addentrarsi nel territorio inesplorato dei tassi negativi. Il governo dal canto suo promette un ulteriore stimolo fiscale.

Anche perché quello già messo in atto sta esaurendo i suoi effetti. Si teme un’esplosione della disoccupazione. Gli ammortizzatori annunciati nel mese scorso non sembrano in grado di contenere gli effetti di un massiccia perdita di posti di lavoro. Il pil britannico nel secondo trimestre di quest’anno ha avuto una contrazione del 20%, la più grave dei Paesi avanzati. Le aspettative di un forte recupero escono ridimensionate dagli ultimi dati che fanno prevedere un 3% in meno per l’economia nel 2022 rispetto al 2019.