Quando la e-mail con cui il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e quello dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli chiedevano il rinvio della vendita di FiberCop al fondo americano Kkr letteralmente interruppe il consiglio di amministrazione di Tim il 4 agosto scorso, i vertici della compagnia telefonica non se la presero più di tanto. In fondo, il governo dimostrava così di aver parecchio a cuore il progetto di costituire nei tempi più rapidi possibile una rete unica per la banda larga: la cosa migliore per il Paese e anche per Tim. L’ operazione da 2,8 miliardi, debiti compresi, per cedere la rete secondaria (FiberCop) agli yankees andava già in quella direzione: un primo passo verso la realizzazione del progetto di mettere le attività di telefonia fissa in una società distinta da costituire insieme a Open Fiber.

Attraverso Cassa depositi e prestiti (Cdp), il governo ha il 10% di Tim. Normale voglia dir la sua. Si può benissimo rinviare la firma con Kkr al Cda fissato per il 31 agosto. Basta che nessuno pensi di togliere il controllo della futura rete unica a Tim, ha ragionevolmente più volte spiegato l’ad Luigi Gubitosi. Gli investitori inizialmente hanno storto il naso: un ennesimo intervento a gamba tesa dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte sulle decisioni di una società quotata in borsa, dopo quello per estromettere i Benetton da Autostrade. Ma poi, nell’immediato, hanno premiato la prospettiva che stava delineandosi. E quel 4 agosto il titolo Tim in borsa guadagnò circa il 5% – per la verità anche grazie a risultati trimestrali tutto sommato in linea con le previsioni nonostante la pandemia abbia pesato sui ricavi del roaming e in generale dei servizi.

Non è andata così, al titolo Tim, dopo il video con cui il Garante del M5S Beppe Grillo ha proclamato che la società unica delle reti si deve fare ma solo come vuole lui: rame e fibra insieme, unica società fra Tim e Open Fiber e a tirar le fila Cdp. Lo Stato al comando. E qui l’intervento a gamba tesa diventa un fallaccio da espulsione. Infatti gli investitori l’hanno punito vendendo azioni Tim: cinque punti percentuali di ribasso. Nel ribadire quel che in sostanza aveva già detto un mese fa – e che Conte aveva definito «una buona idea», Grillo ha calcato la mano proprio sulla governance, auspicando una sorta di statalizzazione della nuova entità – nome provvisorio AccessCo – prevista dal progetto. Ora, Grillo dedica filippiche alla Telecom Italia da una quindicina di anni, fin da quando come piccolo azionista parlava alle assemblee dei soci denunciando la malefatte vere o presunte dell’allora presidente della società Marco Tronchetti Provera e dei suoi collaboratori. Ma se in alcuni casi in passato ha visto giusto, e se la sua insistenza di oggi su una rete unica con al centro Telecom Italia ha molto senso, i dettagli del suo progetto appaiono davvero poco realistici.

Perché a quanto si capisce sì, Tim potrebbe anche avere la maggioranza in AccessCo, ma dovrebbe delegare a Cdp il potere decisionale strategico. Se provate a spiegare qualcosa del genere a un investitore straniero, probabilmente la prende per una barzelletta. Un po’ come succede – e parlo per esperienza diretta – se provate a spiegare che alcune banche in Italia son controllate attraverso le loro Fondazioni da politici locali. Ma con AccessCo le cose sarebbero ben più in grande che con le banche periferiche. D’accordo per la golden share sugli asset strategici del Paese, e la rete unica certo la sarebbe. Ma la governance è un’altra cosa. L’ultimo appello-invettiva del Garante pentastellato è un un deciso “no” ad una AccessCo dalla governance indipendente, che rappresenti i vari azionisti – compresi Kkr e Fastweb che hanno opzioni rispettivamente sul 37,5% e sul 4,5% di FiberCop – a seconda dell’entità delle loro partecipazioni.

Ovvero, è un “no” a quella che al momento sembra essere la soluzione a cui lavora il ministero dell’Economia. L’intervento di Grillo fa ritenere che ci sia una spaccatura nel governo. Il Garante ha buttato tutto il suo peso dalla parte di Patuanelli. Se la bilancia finisse col premiare la visione grillina, nascerebbe un ibrido guidato dalla politica e non dalle logiche aziendali, che normalmente consentono di massimizzare i profitti e di produrre servizi efficienti. Un ibrido che difficilmente sarebbe premiato dagli investitori.

E c’è un altro aspetto della sparata di Grillo che troviamo potenzialmente pericoloso: il comico più famoso della politica italiana ha detto che per finanziare il progetto – il suo progetto, beninteso – si debbano utilizzare «anche le risorse messe a disposizione dell’Europa attraverso il Recovery Fund». Ma Beppe non lo sa che ci sarà un controllo da parte di Bruxelles su come spenderemo quei soldi? Pensa che l’Italia possa presentare un piano per la digitalizzazione che prevede una rete unica governata dallo Stato? E il mercato? E la concorrenza? La Commissione europea non è mica un Politburo sovietico. E poi ci lamentiamo se i cosiddetti “Paesi frugali” vogliono farci le pulci.