L’emergenza Coronavirus ha acceso i fari sulle inefficienze della sanità in Italia, al Sud in particolare. Mancano le terapie intensive anche per la programmazione, caotica e improvvisata, delle specializzazioni mediche. “Ho realizzato uno studio dell’Anaao Assomed – spiega la dottoressa Gabriella Coppola, referente regionale per la sezione giovani – sulle scuole di specializzazione per l’anno 2017-2018. Bene i laureati in medicina, i medici non mancano; c’è però una forte e grave carenza di colleghi che hanno seguito corsi di specializzazione organizzati dalle università con la collaborazione tecnica ed economica del Governo, delle Regioni e dei privati”. Diversi anni fa, dopo la laurea un giovane medico si iscriveva a una scuola di specializzazione sapendo che avrebbe ottenuto una borsa di studio da circa 800 euro al mese. Oggi un medico sa che durante la specializzazione avrà uno stipendio mensile di circa 1.600 euro.

Alle grandi carenze lamentate in molte specialità qualche politico scrolla le spalle e risponde che molti posti restano inutilizzati per “carenza di richieste”. Vero. Ma questo fenomeno è provocato dalla programmazione sbagliata a livello nazionale e regionale. “Abbiamo due voragini, anzi una serie di buchi provocati da anni e anni di errori organizzativi. Guardiamo cosa succede negli ospedali e nelle strutture universitarie dov’è forte la carenza di specialisti in Mecau (Medicina e chirurgia di accettazione di emergenza e urgenza), colleghi che lavorano in pronto soccorso, quelli che curano una feritina, ma che in un’emergenza salvano la vita alle persone. Parlo degli specializzati in anestesiologia e rianimazione che in sala operatoria addormentano migliaia di persone al giorno e che in rianimazione si dannano per salvare pazienti in condizioni gravissime”.

Politici e dirigenti universitari sanno che i posti in prima linea vengono accettati quasi controvoglia dai giovani medici, sono una seconda o terza opzione per accedere a una specializzazione. “Sono mancati provvedimenti efficaci per tutelare la sicurezza di chi fa lavora in pronto soccorso. Lo testimoniano le frequenti aggressioni, lo confermano i rischi giudiziari che da tempo vedono come poco appetibili anche le specialità chirurgiche. Sono lavori in cui si paga a caro prezzo una cronica carenza di organico – spiega Gabriella Coppola – che si traduce in turni di lavoro massacranti, in problemi continui per ferie e giorni riposo. Dal mio studio sulle specializzazioni si vede che la scuola più ricercata è quella di cardiologia, dove lo specialista, a differenza del collega di pronto soccorso o del rianimatore, si assicura anche una buona attività privata”. Ci sono scuole di specializzazione “amiche” dei giovani medici come quelle di dermatologia (seconda nella classifica dell’analisi Anaao), seguita nell’ordine da pediatria, oculistica e chirurgia plastica. Tra le scuole “poco amate” quelle per la pneumologia e le malattie infettive.

“Servono iniziative chiare del governo che, rimanendo poco attivo sull’argomento, ha creato per i giovani laureati in medicina un limbo formato da giovani colleghi che restano bloccati per anni perché non disposti a rinunciare per lavoro a rapporti sociali e ferie accollandosi turni notturni e festivi e magari qualche aggressione”. Le Regioni possono aiutare. Se mancano gli anestesisti o i medici per il pronto soccorso un governatore può proporre al ministro: ci penso io, pagherò le borse di studio. È capitato che, invece di sollecitare posti per anestesisti e medici d’urgenza, sono state messe a disposizione dieci borse di studio per fisiatri. La Regione è poco attenta. “Ho una delibera dell’Asl Napoli 2 Nord relativa al Piano triennale del fabbisogno di personale che la Regione – spiega Antonio De Falco, segretario regionale della Cimo – ha approvato a gennaio. Lo staff strategico ha spiegato semplicemente: assumeremo novanta medici, senza specificare altro”.