Di fatto, votiamo quasi tutti i mesi da qualche parte nel Paese con la conseguenza di una spasmodica attesa di un risultato che comunque orienterà le politiche nazionali, prescindendo dai buoni propositi di una scelta esclusivamente destinata all’amministrazione del territorio. Tutto questo non fa altro che avvelenare i pozzi del dibattito politico, come si vede nel caso Gregoretti, consentendo una ossessiva politica di propaganda sganciata dall’impegno concreto alla realizzazione dei programmi nazionali promessi agli elettori, tenendo sempre alta la fiamma del conflitto.
È su questo spettacolo mediatico che nasce, credo, il movimento delle Sardine, con la richiesta, legittima e condivisa, di un ritorno a un linguaggio civile, al rispetto degli altri e l’assunzione di responsabilità nel dare risposte alle promesse fatte per una politica che spieghi gli obiettivi e convinca gli elettori.

Non sarà “la bomba fine di mondo”, ma non sarebbe stato meglio, allora, mi domando, chiedere alle Regioni almeno di adeguare gli statuti fissando i loro appuntamenti elettorali nella finestra primaverile 15 aprile – 15 giugno, già prevista per i Comuni? Non riesco a convincermi che questa sarebbe stata una lesione di autonomia, mentre viviamo l’ansia di chi vincerà o perderà domenica prossima.