Dalla parte dei più indifesi tra gli indifesi: i bambini. È la mission di Save the Children che, da oltre 100 anni, lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro. E tra i minori difesi da Save the Children vi sono anche i cento che erano sulle navi delle Ong “ostaggi” per una settimana di una politica disumana. La parola a Raffaela Milano, Direttrice programmi Italia-Europa di Save the Children.

L’odissea dei migranti continua: respingimenti, discriminazioni tra persone sofferenti. Qual è la posizione di Save the Children?
Il team di Save the Children ha operato ininterrottamente, notti comprese, nelle fasi di sbarco della Humanity e nella Geo Barents, come fa di consueto, per accogliere i ragazzi giunti in Italia senza i genitori. Abbiamo incontrato ragazzi tra i 15 e i 17 anni, provenienti soprattutto dal Gambia, ma anche dal Senegal, Sud Sudan, e Siria nel caso della Humanity 1, da Siria, Egitto, Eritrea nel caso della Geo Barents – molto provati sia fisicamente che psicologicamente. Alcuni di loro avevano anche assistito alla morte di alcuni compagni di viaggio durante il salvataggio e i più giovani una volta toccata terra si sono lasciati andare a un pianto liberatorio. I 100 minori, di cui 98 non accompagnati, sbarcati dalla nave Humanity e i quasi 70, la maggior parte dei quali non accompagnati, arrivati con la Geo Barents, hanno affrontato cose che nessun adolescente, bambino o bambina dovrebbe affrontare: l’abbandono del proprio Paese e dei propri cari. Spesso sono passati dall’inferno libico, l’incertezza e la paura di un viaggio nel Mediterraneo che in molti casi è fatale. A tutto ciò si è aggiunta l’ansia di non capire perché una volta tratti in salvo non potevano sbarcare ed essere accolti in un porto sicuro, l’incredulità di veder messa a rischio la speranza di un futuro protetto e più sereno. E tutto questo lascia segni indelebili. I volti di questi bambini e ragazzi, la paura che abbiamo letto nei loro occhi, dovrebbero essere un monito per tutti coloro che hanno responsabilità di decidere delle loro sorti e di quelle di tutte le persone a bordo, da non utilizzare nello scacchiere politico, ma nel rispetto del superiore interesse dei minori e del diritto umanitario e del diritto internazionale, che prevedono che le operazioni di soccorso si concludano con l’assegnazione di un porto sicuro per tutti i naufraghi.

Cosa fare?
Per Save the Children è necessario assegnare subito un porto sicuro alle imbarcazioni che operano nel Mediterraneo salvando vite, perché le persone che hanno affrontato un viaggio così lungo e periglioso, non devono continuare a soffrire. L’organizzazione sottolinea, ancora una volta, l’esigenza e l’urgenza di un impegno diretto degli Stati membri e dell’Unione Europea per la creazione di un sistema strutturato, coordinato ed efficace di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, una delle rotte più letali al mondo e l’attivazione di canali d’ingresso sicuri all’Unione Europea. È il rispetto dei principi del diritto internazionale che obbliga gli Stati a cooperare e coordinarsi per soccorrere le persone in difficoltà e le operazioni di salvataggio si concludono solo dopo che ognuna di loro sia stata fatta sbarcare in un porto sicuro e abbia la facoltà di presentare una richiesta di asilo. Salvare vite umane è un dovere per qualsiasi imbarcazione che operi nel Mediterraneo ed è necessario garantire che qualsiasi nave che ottemperi a tale dovere, anche mercantili o di organizzazioni non governative, non incontri alcun ostacolo quando soccorre e sbarca le persone in difficoltà.

In tanti documentati report Save The Children ha raccontato cosa significhi essere respinti a forza nei campi di detenzione libici. E alla base c’è quel Memorandum d’intesa Italia-Libia rinnovato automaticamente per altri tre anni lo scorso 2 novembre. E questo nonostante l’appello ai parlamentari di quaranta organizzazioni della società civile tra le quali Save the Children.
Nei cinque anni di operatività del Memorandum Italia-Libia, l’accordo con cui i Paesi sulle due sponde del Mediterraneo si sono impegnati ufficialmente in “processi di cooperazione, contrasto all’immigrazione illegale e rafforzamento della sicurezza delle frontiere”, la realtà è stata ben diversa da quanto previsto, come documentato più volte dalle Nazioni Unite. La violazione sistematica di ogni fondamentale diritto umano, inaccettabile, è finanziata con il nostro denaro pubblico. Le ricadute sulla vita di uomini, donne, bambine e bambini migranti sono state e continuano a essere devastanti, tra le conseguenze più drammatiche di un patto che è evidentemente illegittimo. Il sostegno alla cosiddetta guardia costiera libica, attraverso fondi, mezzi e addestramento significa continuare non solo a contribuire direttamente e materialmente al respingimento di uomini, donne e bambini ma anche a sostenere i centri di detenzione – ufficialmente definiti di accoglienza – dove le persone vengono sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, vengono abusate e uccise. Purtroppo, l’appello unanime e la mobilitazione delle organizzazioni della società civile non sono riusciti fino ad oggi a non far rinnovare automaticamente l’accordo il 2 novembre, ma la mobilitazione continua.

In difesa dei più indifesi: i bambini. E’ la mission di Save the Children. Ma questi bambini fanno notizia solo quando si sbatte in prima pagina un corpicino scheletrico o senza vita su una spiaggia o in fondo al mare. E poi il silenzio.
E’ fondamentale che il mondo si mobiliti per assicurare i diritti fondamentali ai bambini e alle bambine che vivono su questo pianeta, con un impegno sistematico e continuativo. Con Save the Children operiamo da oltre 100 anni per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro. Siamo attivi in oltre 120 Paesi del mondo, dove ci sono conflitti, catastrofi naturali, povertà estreme. E siamo al fianco dei più vulnerabili, come gli oltre 13,6 milioni di bambini che rischiano la vita per la forma più acuta e grave di malnutrizione, una delle più gravi emergenze attuali. La malnutrizione è una emergenza silenziosa, della quale non parliamo più ma che miete vittime ogni giorno. La pandemia da Covid-19, l’escalation della guerra in Ucraina e i fenomeni climatici estremi hanno contribuito, infatti, ad affamare la popolazione mondiale facendola piombare nella più grave emergenza alimentare del 21° secolo, il cui prezzo più alto è pagato soprattutto dai più piccoli. L’informazione su quello che sta accadendo è un primo passo indispensabile per un impegno delle opinioni pubbliche e degli Stati.

Muri, fili spinati, porti chiusi. E’ la “Fortezza Europa”. Una “Fortezza” che nega il futuro a una umanità sofferente che fugge da guerre, calamità naturali, povertà assoluta. E in questa umanità i bambini sono la parte più vulnerabile. Che Europa è questa?
Ho davanti agli occhi le immagini dello scorso anno al confine fra Bielorussia e UE, dove migranti e rifugiati, tra cui diversi minori soli o con le loro famiglie, sono rimasti bloccati in campi di fortuna, lottando contro ipotermia e fame e affrontando per settimane respingimenti crudeli e violenze da parte delle guardie di frontiera, in alcuni casi perdendo anche la vita. Per non parlare delle numerose testimonianze di abusi e violenze lungo la cosiddetta rotta balcanica. In questi anni, ai confini terrestri e marittimi l’Europa, Premio Nobel per la Pace, fondata sul rispetto dei diritti umani, come ha ricordato Papa Francesco, sta vivendo un “naufragio di civiltà”: alle sue frontiere si sta decidendo il futuro dei suoi principi fondanti. Non dobbiamo permettere che questi principi vengano meno, e occorre continuare a chiedere a gran voce che l’Europa ritrovi le sue radici e applichi politiche di accoglienza e non di respingimento e chiusura, riconoscendo i diritti e la dignità delle persone bloccate ai confini terrestri o marittimi dell’Ue, nel rispetto pieno dei principi morali e degli statuti giuridici dell’Unione.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.