Acconsento e autorizzo la somministrazione del vaccino”. Questa è la formula che ciascuno di noi ricorda posta in calce al modulo per la vaccinazione Covid. Si tratta com’è evidente di una manifestazione di “consenso informato”. Tant’è che in alcuni moduli è presente anche la possibilità di dichiarazione opposta: “rifiuto la somministrazione del vaccino”. Dichiarazione non inutile, in quanto comunque si attesta di essere stati “informati”.

La previsione è stabilita espressamente da un decreto-legge del 2020, relativa al “trattamento sanitario del vaccino covid-19”, nel quale tra l’altro si precisa che il consenso è “reso in conformità alla volontà dell’interessato”. Il tema si ripropone oggi, ma era già sottotraccia da qualche tempo. Le nuove misure governative di applicazione generalizzata dell’obbligo vaccinale agli ultracinquantenni non sembrano infatti coordinate con la precedente previsione. La domanda in sostanza è: ha senso, anzi è legittimo, chiedere il consenso di chi è giuridicamente obbligato a vaccinarsi? La questione potrebbe sembrare di lana caprina, ma in realtà non lo è. Ci sono in gioco questioni di ordine costituzionale, ma anche di imputazione di responsabilità in caso di effetti avversi. Vediamo perché.

Il “consenso informato”, secondo quanto anche la Corte costituzionale ha ribadito (sent. 438/2008) è previsto “proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione”. Il riferimento alla scelta “libera e consapevole” mette in evidenza due distinti aspetti ugualmente importanti. Il primo è diretta conseguenza della libertà di scelta in ordine alla cura o, nel nostro caso, alla somministrazione. Il secondo, connesso al primo, allude all’obbligo delle autorità sanitarie di fornire tutte le informazioni necessarie perché la scelta dell’interessato sia effettivamente consapevole.

L’effetto della previsione del consenso informato non riguarda solo il rispetto della libertà, ma ha un effetto sull’imputazione delle responsabilità. È evidente, infatti, che se, ad esempio, l’informazione è incompleta, errata, fuorviante, fondata su presupposti scientificamente non corretti (allo stato delle conoscenze del momento) chi abbia fornito il proprio consenso non può essere accusato di essersi assunto consapevolmente il rischio per gli eventuali danni conseguenti al trattamento. Anzi, in tal caso, avrà diritto non solo a un indennizzo (che va previsto comunque per effetti avversi da vaccinazioni raccomandate o obbligatorie), ma a un vero e proprio risarcimento del danno.
Lo scenario cambia completamente nel caso di trattamento sanitarioobbligatorio”. Ipotesi nella quale va ricompresa anche quella dell’obbligo vaccinale (in quanto trattamento sanitario, come correttamente dice il decreto-legge citato). In questa ipotesi richiedere il consenso dell’interessato sarebbe una contraddizione in termini. Perché il consenso presuppone una libertà di scelta (e una volontà di vaccinarsi, come dice la legge) che l’obbligo di per sé esclude. Rifiutare il vaccino obbligatorio è un atto illecito, non manifestazione tutelata di libertà. Il consenso dunque non può essere richiesto.

Ciò non vuol dire che venga meno, anzi deve restare, anche il diritto ad essere informati completamente ed esaurientemente (allo stato delle conoscenze scientifiche). Innanzitutto per dare (qualche) certezza all’interessato che, può almeno sapere a quali rischi va incontro e, in ipotesi, assumere comportamenti che, qualora possibile, riducano la possibilità che essi si materializzino. In secondo luogo, l’obbligo di informazione implica una responsabilizzazione di chi quell’obbligo ha previsto, consentendo così di valutare sia il valore degli indennizzi, sia le eventuali ipotesi di risarcibilità del danno (sent. 5/2018 della Corte costituzionale). Nei giorni scorsi si sono ascoltate varie opinioni secondo cui sarebbe giustificato mantenere la richiesta di consenso anche nella nuova situazione. Un consenso “obbligatorio” per una vaccinazione obbligatoria.

La motivazione più sorprendente, avanzata anche da alcuni giuristi (sic!) è che siccome non vi è una coercizione fisica a vaccinarsi, allora ciascuno rimane libero di rifiutarsi, accettando le sanzioni. Sarebbe come dire che il reato di omicidio non costituisce un obbligo di astenersi dall’uccidere (cioè un divieto) perché si rimane comunque liberi di farlo, purché accettando la conseguenza della galera (qualora scoperti). Invece, una coercizione fisica (per la quale ci vorrebbe anche l’ordine del giudice: art. 13 cost.) tra l’altro, non è tecnicamente un obbligo (che limita lo spazio della libera volontà), ma semmai un modo per farlo valere. Il fatto che manchi la coercizione, pertanto non rende un obbligo, per così dire, meno obbligo.

La questione dovrebbe, dunque, essere risolta con un tratto di penna, senza troppi bizantinismi. Anche perché mantenere la contraddizione può avere un costo politico notevole e contraddire la stessa finalità di spingere alla valutazione. Che le istituzioni perseverino in una contraddizione, infatti, alimenta il sospetto e la sfiducia nei cittadini. “Perché dopo avermi obbligato, mi chiedono di dare il mio consenso?” . E di questi tempi di conflitti anche feroci sulle politiche vaccinali, non è certo questo ciò di cui abbiamo bisogno. Anche, e soprattutto, se si vuol favorire la diffusione del vaccino.