In un bel film del 1951, L’asso nella manica di Billy Wilder, un giornalista privo di scrupoli si imbatte, in una località sperduta del New Mexico, nel crollo di una vecchia miniera dismessa in cui è rimasto sepolto un poveraccio che andava alla ricerca di antichi cocci degli indiani ex nativi. Fiutando lo scoop, il giornalista si assicura l’esclusiva e convince la moglie, lo sceriffo e gli appaltatori a perforare la montagna dalla cima, anziché entrare nella galleria e puntellarla a dovere.

Così un’operazione di soccorso che poteva essere risolta in poche ore si trasforma in un lavoro di giorni alla presenza crescente della comunità dei mass media, oltreché dal contorno vociante e festoso di una miriade di curiosi che confluiscono lì con le roulotte da ogni parte del Paese, portandosi appresso venditori di hot dog, saltimbanchi ed intrattenitori di ogni tipo. Persino un ‘’Luna Park’’ attrezzato. Alla fine, il poveraccio, costretto a rimanere sepolto per alcuni giorni, ci lascia le penne.

La metafora ficcante serve a spiegare la danza macabra che si sta svolgendo, in Italia, intorno alla certificazione che dovrà essere prodotta, alla ripresa delle attività, per dimostrare (con la solita relatività di tutte le cose umane) di non essere portatori del virus (che tra l’altro si sta trasformando in una sorta di mago Houdini) all’interno delle comunità di appartenenza. Si sta facendo strada l’idea di rendere obbligatoria la vaccinazione. Ne ha scritto su Il Riformista anche un fine giurista come Guido Neppi Modona, il quale, partendo da una valutazione degli argomenti sostenuti dai bohvax (ovvero da persone che non fanno della renitenza una questione ideologica ma un’attenzione al “sentito dire”) rileva che il rifiuto del vaccino assume aspetti particolarmente inquietanti con riguardo a due categorie professionali che svolgono rispettivamente attività a contatto con i giovani (gli insegnanti) e con persone che hanno problemi di salute (medici e operatori sanitari).

Tra i primi, a pochi giorni dall’inizio dell’anno scolastico, sono ben 186.571, pari al 12.82%, quelli non vaccinati; nei confronti dei medici già vige l’obbligo di vaccinazione, con conseguente sospensione dall’esercizio della professione in caso di inottemperanza all’obbligo, ma sono decine di migliaia i ricorsi ai Tar di varie regioni già presentati o in corso di presentazione contro i provvedimenti di sospensione. Ma se questa situazione “desolante” esiste ed è radicata laddove è previsto un obbligo specifico di vaccinazione, che cosa aggiungerebbe di più una legge che estendesse a tutti i cittadini la vaccinazione obbligatoria? Probabilmente darebbe qualche argomento plausibile per opporsi giacchè un provvedimento siffatto sarebbe una “fuga in avanti” viziato da un analogo e opposto radicalismo di quello dei no vax più testardi.

Facciamo un po’ chiarezza: un conto è stabilire (per legge?) che non si accede in certi ‘‘luoghi di socialità’’ senza esibire una certificazione (il green pass) che attesti l’avvenuta vaccinazione o l’effettuazione di un tampone con risultato negativo. Si tratterebbe di una soluzione flessibile, al dunque rispettosa delle libertà individuali delle persone, perché non sarebbe impossibile condurre una vita in relativa sicurezza per sé e per gli altri, avvalendosi dei presidi previsti (come l’uso della mascherina) laddove fosse consentito. Poi se questa ostinata persona dovesse mettersi in viaggio, potrebbe cavarsela sottoponendosi ad un tampone ad hoc. È discutibile che sia necessaria una legge per definire non un obbligo, ma un requisito necessario per svolgere alcune attività. Personalmente sono convinto che – ai sensi dell’articolo 2087 cod.civ. e del TU sulla sicurezza del lavoro (dlgs n.81/2008) – non vi sarebbe bisogno di altre disposizioni di legge per sancire l’obbligo di certificare l’ immunità (sia pure temporanea) per l’ingresso sui luoghi di lavoro. Sono, peraltro, del medesimo avviso le prime sentenze della giurisprudenza in materia.

Sarebbe invece un altro “paio di maniche” stabilire l’obbligo di vaccinazione per tutti i cittadini: un’operazione mastodontica del tutto inutile, anche perché dovrebbe essere ripetuta periodicamente, in relazione alle varianti del virus. Diverso è il caso di un obbligo vaccinale per certe categorie come il personale sanitario e scolastico; ma, a questo proposito, vi sono decine di migliaia di persone che si sottraggono a norme già operative. Poi, che i cittadini si siano sottoposti alla somministrazione obbligatoria non può essere presunto perché lo prevede la legge; a quel punto occorrerebbe pur sempre esibire una certificazione, nei fatti autorizzativa o preclusiva rispetto a talune azioni della vita quotidiana. Per non parlare poi dei tempi necessari per varare una legge, quando alla ripresa delle attività, vi saranno tante gatte da pelare, in vista della sessione di bilancio, durante la quale è precluso l’esame di qualunque altro provvedimento.

Poi c’è la comica finale (anche se viene solo da piangere). Se vaccinarsi diventasse un obbligo di legge che cosa succederebbe ai ‘’renitenti’’ ai quali verrebbero regalati degli argomenti in più per giustificare la loro follia? Quali sarebbero le sanzioni? Guai a parlarne perchè sarebbero ritenute discriminazioni inaccettabili: risponde sdegnato Maurizio Landini, il leader sindacale che per primo ha preteso dal governo e dal Parlamento “un’assunzione di responsabilità” attraverso l’introduzione di un obbligo ex lege ‘’per tutti i cittadini’’. Si è forse assuefatto ai dpcm di Giuseppe Conte che si sbizzarrivano in ‘’raccomandazioni’’ più o meno pressanti?

Comunque i sindacati non ci fanno una bella figura. Si sono intestarditi nella batracomiomachia delle mense aziendali che, a loro avviso non devono subire l’onta di essere trattati come i ristoranti. Landini e i suoi partner si sono fatti smentire – uno dopo l’altro – da tutti gli ex leader sindacali: da Savino Pezzotta a Giorgio Benvenuto. Buon ultimo persino da Sergio Cofferati, il “Cinese”. Non ci saranno infiltrazioni del “pensiero no vax” in qualche ambiente sindacale? È consigliabile la lettura di due comunicati delle Rsu del gruppo Leonardo. Nel primo viene annunciato che a ottobre vi saranno delle terapie importanti per quanto riguarda la cura del covid-19, per cui non ci sarebbe troppo da preoccuparsi a svolgere un’azione preventiva tramite la vaccinazione.

Il secondo fa sentire il suono degli ottoni: le misure previste nei Protocolli dell’aprile 2020 sono sufficienti a garantire di lavorare in sicurezza. Che i Protocolli abbiano svolto un ruolo decisivo per consentire di “aprire”, dopo la sciagura del primo lockdown, settori strategici per l’economia e l’occupazione è un dato acquisito e riconosciuto. Ciononostante vi sono due considerazioni ineludibili: al momento della sottoscrizione dei Protocolli  non era ancora disponibile il vaccino e pertanto le parti non potevano disciplinarne l’utilizzo nei posti di lavoro; dall’inizio della crisi sanitaria sono stati denunciati 175mila infortuni da covid-19 con 600 decessi. Perché allora non fare di più?