Papa Francesco parla, stavolta al direttore dell’agenzia stampa AdnKronos, e dice molto. Ci sono alcuni aspetti significativi della lunga intervista, riassunta sul sito dell’agenzia stessa. Peccato non poter ascoltare un audio o leggere una trascrizione integrale (…magari arrivano tra qualche anno a sorpresa una o due frasi shock!).
Primo punto: le critiche. «Il Papa le critiche le ascolta tutte dopodiché esercita il discernimento, capire cosa è a fin di bene e cosa no. Discernimento che è la linea guida del mio percorso, su tutto, su tutti. E qui – continua Papa Francesco – sarebbe importante una comunicazione onesta per raccontare la verità su quel che sta succedendo all’interno della Chiesa. È vero che poi se nella critica devo trovare ispirazione per fare meglio non posso certo lasciarmi trascinare da ogni cosa che di poco positivo scrivono sul Papa».
Secondo: corruzione e rapporti con il predecessore. Qui abbiamo qualcosa di nuovo. «La Chiesa è e resta forte ma il tema della corruzione è un problema profondo, che si perde nei secoli. All’inizio del mio pontificato andai a trovare Benedetto. Nel passare le consegne mi diede una scatola grande: “Qui dentro c’è tutto – disse -, ci sono gli atti con le situazioni più difficili, io sono arrivato fino a qua, sono intervenuto in questa situazione, ho allontanato queste persone e adesso…tocca a te. Ecco, io non ho fatto altro che raccogliere il testimone di Papa Benedetto, ho continuato la sua opera”. Una narrazione tradizionalista racconta di un papa emerito perennemente in guerra con quello regnante, e viceversa. C’è del vero? Il Papa, scrive la AdnKronos, si prende qualche secondo e poi sorride: “Benedetto per me è un padre e un fratello, per lettera gli scrivo ‘filialmente e fraternamente’. Lo vado a trovare spesso lassù (con il dito indica la direzione del monastero Mater Ecclesiae proprio alle spalle di San Pietro) e se recentemente lo vedo un po’ meno è solo perché non voglio affaticarlo. Il rapporto è davvero buono, molto buono, concordiamo sulle cose da fare. Benedetto è un uomo buono, è la santità fatta persona. Non ci sono problemi fra noi, poi ognuno può dire e pensare ciò che vuole. Pensi che sono riusciti perfino a raccontare che avevamo litigato, io e Benedetto, su quale tomba spettava a me e quale a lui”.
Il lettore interessato può cercare l’intervista sul sito dell’agenzia. Ma già da questi brevi estratti colpisce la determinazione con cui si descrive un Papa Francesco pronto a contrastare la corruzione dentro il Vaticano e in tutti i modi. Lo ritiene suo dovere, anche se non viene chiesto o precisato in che modo e con quali strumenti e con quale esercito o drappello potrà andare avanti. Tuttavia l’immagine decisa si coglie molto bene e nettamente. Ad esempio in modo specifico sul tema corruzione, «non credo possa esserci una sola persona, dentro e fuori di qui, contraria ad estirpare la malapianta della corruzione», spiega il Papa. E aggiunge: «Non ci sono strategie particolari, lo schema è banale, semplice, andare avanti e non fermarsi, bisogna fare passi piccoli ma concreti. Per arrivare ai risultati di oggi siamo partiti da una riunione di cinque anni fa su come aggiornare il sistema giudiziario, poi con le prime indagini ho dovuto rimuovere posizioni e resistenze, si è andati a scavare nelle finanze, abbiamo nuovi vertici allo Ior, insomma ho dovuto cambiare tante cose e tante molto presto cambieranno».
Abbastanza chiaro, anzi illuminante e non si può chiedere di più al genere letterario-intervista. E qui abbiamo un eccesso di interviste, almeno in questo periodo. È un modo per far arrivare più in là la voce del Papa e tuttavia lo immaginiamo sgradito ai puristi dei pronunciamenti ufficiali, che devono essere omelie, discorsi, documenti. C’è in questo parlare ai giornalisti un “segno dei tempi”, la convinzione che sia diventato necessario riuscire a trovare dei modi per rivolgersi a un pubblico più ampio e vasto, anche se poi non si controllano tanto bene le conseguenze. Comunque il Papa ne esce bene, come quando smonta un altro cliché mediatico: la sua solitudine.
Osserva: «Se sono solo? Ci ho pensato. E sono arrivato alla conclusione che esistono due livelli di solitudine: uno può dire, mi sento solo perché chi dovrebbe collaborare non collabora, perché chi si dovrebbe sporcare le mani per il prossimo non lo fa, perché non seguono la mia linea o cose così, e questa è una solitudine diciamo… funzionale. Poi c’è una solitudine sostanziale, che non provo, perché ho trovato tantissima gente che rischia per me, mette la sua vita in gioco, che si batte con convinzione perché sa che siamo nel giusto e che la strada intrapresa, pur fra mille ostacoli e naturali resistenze, è quella giusta».
Allo stesso tempo con queste interviste entriamo nella mente di Papa Francesco e nel laboratorio della Chiesa, perché si apre uno spaccato sulla mentalità del Papa e sull’approccio ecclesiale, ai vari livelli, sui problemi che ci si trova ad affrontare. Qui è il nodo: sarebbe immaginabile un approccio capace di utilizzare qualche metodologia – con consulenti che non badino solo a tagliare spese (e teste) – per verificare risultati, con valutazioni del personale con metodiche aggiornate e – soprattutto – riuscire ad investire sulla formazione? In effetti c’è una strada lunga da percorrere.
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