Era naturale che la campagna elettorale napoletana passasse anche per la fase della “calata dei leader” da Roma, pronti a dare man forte ai rispettivi candidati sindaci. La sua lunghezza, però, ha fatto sì che non piombassero soltanto in fase di chiusura, ma che trovassero il tempo – e la convenienza – di venire anche nel pieno della competizione, quando la partita è ancora aperta e i candidati stanno cercando il registro giusto. Nelle prossime ore saranno in città il leader leghista Matteo Salvini, a sostegno di Catello Maresca, e il segretario del Partito democratico Enrico Letta, con il suo vice Peppe Provenzano e il presidente della Camera Roberto Fico, in prima linea per Gaetano Manfredi.

La presenza di questi leader nazionali catalizza il dibattito sulle coordinate classiche del bipolarismo fondate sulla destra (Salvini) e sulla sinistra (Letta, Fico, Provenzano). Tale chiave di lettura potrebbe appare eccessivamente pesante per una competizione che è pur sempre locale, per la guida di una città che ha bisogno come l’aria di veder funzionare i propri servizi fondamentali perché, come qualcuno direbbe grossolanamente, aiuole e autobus non sono di destra né di sinistra. E invece il peso di presenze così politiche, e soprattutto gli antefatti della loro discesa, illustra proprio l’ambiguità di questa calata da Roma e le fragilità odierne della città di Napoli. Tralasciando Fico, che attualmente riveste un ruolo di garanzia e che è del resto una persona che mantiene sempre un profilo misurato, il duo Letta-Provenzano e Salvini stanno combattendo una feroce guerra per condizionare l’agenda del governo Draghi e ridurre l’avversario ai margini dello schieramento politico e governativo a colpi di battaglie identitarie. I primi con le pressanti richieste sulla riforma fiscale e sul ddl Zan, il secondo con le sue crociate contro il green pass e a favore delle riaperture senza troppe cautele cui si è aggiunto, infine, l’impegno referendario per una giustizia giusta. Basta guardare le dichiarazioni e le vicende di queste ore visita per avere la netta sensazione che Napoli sarà il palcoscenico occasionale di una disfida sull’agenda nazionale e che andrà sprecata l’occasione per far assurgere il suo rilancio al centro di essa, in cima alle priorità del Paese.

Eppure ci sarebbe bisogno di trovare un posto specifico per il capoluogo campano all’interno di una agenda nazionale dei partiti. Oggi quel posto non c’è. Si rivendicano parità di trattamenti con Roma sulla questione del debito, si fa un po’ di maretta sulle risorse del Recovery Plan destinate al Sud, ma non v’è traccia di una riflessione organica, da parte dei principali partiti, sul ruolo di Napoli in Italia in Europa e, se non pare troppo, nel mondo. Salvini è atteso oggi in città per la raccolta di firme a sostegno del referendum e c’è da giurare che i suoi toni saranno tutti da Lega “nazionale” e che troverà il tempo per le immancabili polemiche con De Luca. Del resto, la rinuncia al simbolo del Carroccio sulle schede elettorali e le polemiche sulla sede di una costituenda Authority europea di contrasto al riciclaggio (per la quale Maresca ha candidato Napoli, salvo essere smentito da una mozione di Forza Italia che punta invece su Roma) dimostrano quando il centrodestra sia posizionato in modo distratto sul candidato e sui suoi modestissimi sforzi di elaborare dei contenuti. Sul fronte opposto, Letta e Provenzano, da domani in città per la festa dell’Unità, sono impegnati in una battaglia nazionale di ordine tattico e ideologico (e il segretario anche in un primum vivere, con la sua candidatura a Siena) che ha come casematte l’agenda del Governo e il Quirinale.

Pertanto, anche senza mettere in discussione il meridionalismo di Provenzano, i motivi dominanti della loro presenza a Napoli si limitano alla crucialità della sua conquista per i piani nazionali, ma non si concretizzano in un contributo di idee. Che neanche provengono dal basso, come dimostra il cartellone delle iniziative della festa dell’Unità, dove i riferimenti alla campagna elettorale napoletana si limitano alla riedizione del patto per Napoli. Di panel tematici, progettuali e di approfondimento sulla città, però, nemmeno l’ombra. E così un candidato della caratura di Manfredi, già rettore della Federico II e ministro, non trova sostegno in un’idea di Napoli che provenga da Roma, se si prescinde dalla retorica del riscatto e da qualche cenno alle infrastrutture del Recovery Plan. Naturalmente un’idea di Napoli dovrebbe provenire innanzitutto da una classe politica napoletana credibile e autorevole a Roma. Eppure né a destra né a sinistra si riesce a produrre una visione del ruolo di Napoli, e con essa dell’Italia, nei ribollenti riallineamenti della globalizzazione.