Ma quando sentiamo i vertici lombardi, tirando le somme, ci accorgiamo che insieme a quello di Giorgio Gori la Lombardia sfiderebbe Zingaretti con una donna: Lia Quartapelle. Ma nomi oggi non se ne fanno. Ed è d’altronde presto per parlarne: nell’attesa della nottata elettorale emiliana l’aria si fa densa di silenzi. «Aspettiamo il voto in Emilia-Romagna», suggerisce Francesco Nicodemo, oggi consulente di comunicazione strategica e responsabile della comunicazione nella segreteria del Pd con Renzi. «Se c’è un grande sconfitto, Salvini, e un Di Maio indebolito, si possono aprire scenari molto interessanti – aggiunge Nicodemo. Aspettiamo due settimane, la politica è l’arte del possibile. Dal 27 non ci saranno più alibi». Su Giorgio Gori non lesina i giudizi: «Gori è uno dei migliori sindaci italiani, un uomo colto, una bellissima figura ben spendibile a livello nazionale», scandisce.

Ma è ancora Orfini a indicare il percorso. «Fare un congresso con le nostre vecchie regole non ha molto senso. Serve coraggio. Bisogna aprire un processo più articolato, non il congresso del Pd ma un congresso fondativo di un nuovo soggetto politico. E non si può chiedere ad altri di riunirsi alle nostre regole. Si fondino in ogni angolo del Paese i comitati costituenti del soggetto della sinistra federata: penso a Calenda e a Renzi, a Fratoianni e ai Verdi. Al movimento delle Sardine, all’area del non-voto: a tutti coloro che vogliono opporsi al sovranismo e al ritorno di Salvini al potere».
Anche il presidente dei senatori del Pd, Andrea Marcucci, punta i piedi: «A Rieti ho detto a Zingaretti no allo scioglimento del Pd, si all’apertura. Va bene aprire un’altra fase nella stagione di governo, evitando di sembrare troppo subalterni ai 5 stelle. Non voglio fidanzamenti preventivi con Toninelli, se ne discuterà alla fine con ciò che è rimasto sul campo».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.